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Svobodnoe plavanie
Storie di quotidiano disagio occupazionale in Russia. Una piccola officina navale viene acquistata perché troppo competitiva e quindi destinata alla dismissione dalla concorrenza statunitense. Il giovane Ljonja, ragazzo scapestrato e violento affronta un mondo del lavoro mutevole con un misto di volubilità e tanta voglia di libertà.
In Svobodnoe Plavanie del regista russo Khlebnikov ci troviamo ancora una volta dinanzi ai panorami sconfinati e profondi dell'ex Unione sovietica, terra desolata da un ingresso nel mondo del capitalismo troppo rapido e troppo incontrollato. Eppure la campagna, lontana dalle grandi città e soprattutto dalla capitale, è ancora in grado di dare suggestioni paesaggistiche ed umane, immagini di una vita semplice, ordinata e apparentemente immutabile. È proprio questo però che il giovane Ljonja rifiuta, animato da un inquietudine profonda, innata, che lo trascina alla deriva come il vascello della poesia di Lermontov, al di là del desiderio e del bisogno. Nulla può frenare o arrestare il libero corso del protagonista. Un capomastro, legato al valore di un lavoro fatto bene ed originale, quasi fosse un moderno Ivan Denissovich, vede nel ragazzo un successore, un prosecutore della sua opera, che un giorno si ritaglierà un proprio spazio professionale nella tranquilla regione. Una ragazza semplice ma affascinante, chiamata ironicamente "porcellina", vorrebbe legare Ljonja a sè, ma senza successo. L'importante non è essere legati ad una corda, ma averla lunga abbastanza per sentirsi davvero liberi.
Girato con poesia e grazia, Svobodnoe Plavanie non vuole essere soltanto uno studio sociale sugli effetti del nuovo mondo del lavoro nella provincia russa, ma un indagine sul bisogno di libertà dell'uomo, sul suo bisogno di "galleggiamento" in una navigazione serena e priva di preoccupazioni perché vissuta giorno per giorno. Il film si conclude con la canzone di un inteprete molto amato in Russia, con "E il treno va" di Toto Cutugno.
La frase: "Lavori da un mese è già sei stanco? La gente lavora trent'anni per la pensione!".
Mauro Corso
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