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Storie d'armi e piccoli eroi
Nel rifondare un paese distrutto da decenni di guerre è indispensabile anche tutelare i bambini, garantendogli la possibilità di un futuro. In Afghanistan lo fa, tra gli altri, Mr. Wali del centro Aschiana, struttura finanziata da diverse organizzazioni straniere che raccoglie minori dalle strade di Kabul (quasi 5 mila gli ospiti), insegna loro dei mestieri e in più li informa attraverso un corso di diritti dell’infanzia.
Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri, documentaristi e autori di un lungometraggio di finzione ciascuno (Sandri ha realizzato inoltre vari corti e lavori per la televisione) che dirigono e producono "Storie d’armi e di piccoli eroi" con la loro società Gaundri, hanno seguito l’attività di quest’uomo realizzando - con tensione etica e tenacia - blocchi di riprese in due tempi, nel 2003 e 2006. Si sono concentrati sul giovanissimo Kakà - che ha perso i genitori in un bombardamento statunitense durante un banchetto di nozze scambiato per un covo di talebani - ricorrendo pure a ricostruzioni drammaturgiche (gli incubi notturni del piccolo protagonista e l’episodio in cui è stato picchiato da coetanei e derubato di una ricompensa ottenuta per una buona azione). Dopo un corso di calligrafia il ragazzino, prima lavavetri, ora dipinge scritte in un negozio di insegne, segue la zia malata che aveva adottato lui e la sorellina, visita la tomba dei genitori (in una commovente scena confida loro di essere primo a scuola) e fa 40 chilometri al giorno per spostarsi. Nel tempo libero studia, legge e scrive in una stanza sul tetto dove in genere si tengono polli o colombe. Nei tragitti, la videocamera spazia e trova rovine, la tomba di Ahmed Zahir mèta di pellegrinaggi, l’elettricità a singhiozzo, scuole abbattute per lasciar posto a begli edifici, una periferia con case in cui piove dentro e famiglie rifugiate in cantieri di palazzoni abbandonati e senza parapetti, dove i bambini ogni tanto cadono di sotto. Sono loro, giustamente, la presenza costante e più indifesa: lavorano, giocano, litigano, corrono dietro ai mezzi militari, finiscono in ospedale - in tanti - colpiti dalle armi.
La frase: "Abbiamo fatto questo tritacarne perché vogliamo distruggere le armi, abbiamo bisogno di penne e libri".
Federico Raponi
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