Star Wars: Il Risveglio della Forza
Come di consueto, in anticipo rispetto all’inconfondibile tema musicale di John Williams che fa da accompagnamento alla lunga didascalia volta a ricordarci dove eravamo rimasti, è “Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana...” ad introdurre sul filo dell’emozione dettata dalla nostalgia anche il settimo capitolo della saga fantascientifica iniziata tramite “Guerre stellari” (1977) di George Lucas, “L’impero colpisce ancora” (1980) di Irvin Kershner e “Il ritorno dello jedi” (1983) di Richard Marquand, in realtà costruiti su eventi narrativamente collocabili dopo i successivi “Star wars: Episodio I – La minaccia fantasma” (1999), “Star wars: Episodio II – L’attacco dei cloni” (2002) e “Star wars: Episodio III – La vendetta dei Sith” (2005), tutti diretti dal primo dei tre registi.
Settimo capitolo che, tagliato totalmente fuori l’autore de “L’uomo che fuggì dal futuro” (1971) e “American graffiti” (1973), vede dietro la macchina da presa il J.J. Abrams già occupatosi del restyling cinematografico della saga “Star trek”, qui impegnato a proseguire in tre dimensioni – ad oltre trent’anni dalla chiusura della trilogia originale – il racconto della battaglia intrapresa dai ribelli contro il Primo Ordine.
Battaglia che, opposti al nuovo cattivo proto-Darth Vader Kylo Ren, cui concede anima e corpo l’Adam Driver di “Hungry hearts” (2014), pone la giovane Rey alias Daisy Ridley, lo stormtrooper Finn, ovvero il John Boyega di “Attack the block – Invasione aliena” (2011), e il pilota Poe Dameron, interpretato dall’Oscar Isaac di “A proposito di Davis” (2013).
Mentre, provocando più di un sussulto nei fan irriducibili del franchise, ritornano in scena anche lo wookie Chewbecca, sotto il cui pelosissimo costume ritroviamo Peter Mayhew, i droidi C-3PO e R2-D2, rispettivamente involucri di Anthony Daniels e Kenny Baker, Leia e Han Solo; incarnati, però, da una Carrie Fisher e un Harrison Ford che sembrano recitare come se non vedessero l’ora di terminare le riprese per riscuotere la diaria.
Uno dei pochissimi difetti di un’operazione in cui non risulta davvero assente il movimento già a partire dall’apertura delle oltre due ore e dieci di visione, ma che, proprio come avvenne ai tempi dell’enorme successo riscosso tra gli anni Settanta e Ottanta dai primi tre lungometraggi, riesce nell’impresa di coinvolgere soprattutto il pubblico facilmente conquistabile attraverso valanghe di effetti visivi al servizio di esili sceneggiature.
Perché, man mano che viene tirata ancora una volta in ballo la mitica astronave Millennium Falcon e che, tra navicelle spaziali in azione e duelli con spade laser, non manca un colpo di scena destinato probabilmente a far scendere qualche lacrima dagli occhi di chi è cresciuto guardando le avventure del cavaliere jedi Luke Skywalker e dei suoi compagni di lotta, non poco evidente appare l’impressione di trovarci dinanzi ad un rifacimento guardabile ma senza troppa fantasia del capostipite, ancor prima che ad un vero e proprio sequel.
Tanto che la maniera in cui il suo look estetico viene perfettamente rispecchiato conferisce la sensazione che, invece del creatore della serie televisiva “Lost”, alla direzione vi sia il solito Lucas.
La frase:
"Questo è il Millennium Falcon? E tu Han Solo?".
a cura di Francesco Lomuscio
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