09 Settembre 2009 - Conferenza
"Survival of the dead-L'isola dei sopravvissuti"
Intervista al regista.
di Francesco Lomuscio

Il maestro del cinema dei morti viventi George A. Romero è approdato presso la 66ª edizione della Mostra d'arte cinematografica di Venezia per presentare alla stampa "Survival of the dead".

La sua critica sociale in salsa zombesca prosegue: in questo film abbiamo un mondo che sembra essere rimasto ai tempi dei cowboy, perché si combatte in onore di una bandiera senza ricordare chi ha iniziato la guerra tra i due avversari. A tal proposito, nel mondo attuale chi sono i survival of the dead?
George A. Romero: Non saprei, è difficile distinguerli in questi giorni (ride). Una volta un giornalista ha fatto un commento a proposito proprio delle differenze tra l'occidente, i film western e i film sugli zombi. Il western è allegorico, invece in questo tipo di film cerco di legarlo al genere che preferisco.

Quanti film di questo genere farà ancora? E cosa la spinge ad andare avanti?
George A. Romero: E' una realtà pratica, certo, preferirei che fossero più distanti tra loro, ma, quando ne esce uno, il gruppo che fornisce i fondi ne vuole fare un altro. Comunque, ho ancora moltissime idee, quindi non mi dispiacerebbe fare un altro film.

Perché ha scelto proprio l'isola? Il film si sarebbe potuto svolgere sulla terraferma o in un altro posto?
George A. Romero: E' stata una delle prime idee che ho avuto, il concetto di base è che l'isola sia il posto più sicuro in cui sopravvivere, non c'è nessun altro senso metaforico.

E' stato forse ispirato dalla guerra in Afghanistan?
George A. Romero: Possono venire in mente l'Irlanda del Nord o il Medio Oriente, ma non credo ci sia un conflitto mondiale che abbia ispirato il mio film. E' un tema molto più ampio, non ho guardato solo l'Iraq, ci sono la discriminazione razziale e religiosa, il tribalismo di qualsiasi natura, ho voluto parlare dell'incapacità dell'uomo soggiacente di dimenticare. E, anche dopo aver dimenticato ciò che ha dato il via al conflitto, non si dimentica il nemico.

In questa edizione del festival, oltre al suo film sono stati presentati "[Rec] 2" e "La horde", sempre a tema zombesco. Secondo lei, perché, a quarant'anni da "La notte dei morti viventi", il genere va ancora? Inoltre, come mai ha sentito il bisogno di tornare agli zombi per tre volte negli ultimi dieci anni?
George A. Romero: I miei primi quattro film erano in un certo senso collegati e non volevo spingermi oltre, quindi, con "Diary of the dead", sono voluto tornare alla prima notte. So che qui ci sono altri due zombie-movie, ma, secondo me, sono i videogame che hanno mantenuto in vita gli zombi, non i film.

Secondo lei questo genere di film è destinato a rimanere laterale al "grande cinema" o può essere tranquillamente destinato ad ambienti come, appunto, il Festival di Venezia?
George A. Romero: Per quanto riguarda l'essere stato invitato in concorso alla mostra è lusinghiero, un grande onore per me. Tutto è guidato dall'aspetto commerciale, se questo film avrà successo ce ne sarà sicuramente un altro.

Alla fine del film c'è una certa speranza che lascia intendere un'evoluzione da parte degli zombi, i quali cominciano a mangiare anche carne non umana, mentre per i comuni mortali sembra essere in atto una sorta d'involuzione…
George A. Romero: Ho sempre avuto molta simpatia per gli zombi, gli esseri umani si disumanizzavano sempre di più, man mano che i miei film andavano avanti. Ho sempre lavorato sulla simpatia degli zombi, perché sono innocenti.

Come mai, nonostante il moderno horror abbia introdotto morti viventi che corrono, lei è rimasto legato al modello di zombi lento e dinoccolato?
George A. Romero: Li ho sempre trattati così, li hanno fatti correre ne "L'alba dei morti viventi", ma quello è un altro punto di vista e io mantengo il mio. Sono cresciuto con il film "La mummia" e, forse, questo è il mio ricordo-influenza.

Le fa piacere che i suoi film vengano interpretati come allegorie del presente o preferisce che vengano considerati semplicemente horror?
George A. Romero: No, mi è sempre piaciuto questo genere e ancora mi diverto a farlo, mi attrae proprio il poter realizzare questi film con osservazioni che vengono da me stesso.

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