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19 febbraio 2003 - Conferenza stampa
Ken Loach
Intervista al regista di "Sweet Sixteen"
di Teresa Lavanga
Dopo la proiezione stampa del suo ultimo film, "Sweet Sixteen" l'incontro con Ken Loach si prospetta entusiasmante e molto interessante. Il regista inglese si presenta ai giornalisti con un'espressione quasi imbarazzata, che presto si tramuta in un sorriso raggiante. Le prime domande riguardano il film.
Perché ha deciso di ambientare ancora una volta una sua pellicola a Glasgow?
Perché lo sceneggiatore, Paul Laverty è di quelle zone e perché credo che lì ci sia ancora un tipo di proletariato di cui mi interessa raccontare le vicende. In Scozia molte cittadine sono come Glasgow. C'è una disoccupazione dilagante, che ogni giorno che passa annienta gli animi delle persone, le rende ciniche, alienate. Questa disoccupazione è un retaggio del passato che oggi si fa sentire più che mai. Nelle prime fasi di lavorazione del film ho conosciuto molte persone che vivono nelle condizioni di Liam, e anche peggiori. Lo Stato a questo proposito non fa nulla, anzi addirittura nega che il tasso di disoccupazione sia così preoccupante. Le persone che vivono questa realtà però sanno che non è la verità. Cercano di sopravvivere ogni giorno, fanno corsi di perfezionamento, di aggiornamento, di formazione. Sono in grado di svolgere qualsiasi mansione, ma in realtà il lavoro non c'è.
Il messaggio che dà con il suo film è quello che non c'è speranza per un futuro migliore?
No. In realtà il mio film è intriso di speranza. Liam non è ancora diventato duro, indifferente, può essere recuperato. È un ragazzo con tanta voglia di vivere. Credo però che sia inutile, anzi dannoso dare alle persone false speranze. Un film del genere può contribuire ad aprire gli occhi alla gente, a farla ragionare diversamente.
Crede davvero che i disagi economici influiscano sull'affetto che si prova all'interno di una famiglia?
In assoluto no, però credo che in condizioni particolarmente disagiate anche i fattori economici influiscano. Durante le fasi di lavorazione del film ho parlato con alcuni insegnanti e assistenti sociali. Questi mi hanno confermato che molti ragazzi hanno un forte attaccamento verso la famiglia soprattutto quando questa cede. Molti trovano continue giustificazioni ai comportamenti "immorali" dei genitori, soprattutto della madre. Con questo film volevo catturare proprio questo, il coraggio e la fragilità che spesso convivono in un adolescente.
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