02 Aprile 2008 - Conferenza stampa
"Jimmy della Collina"
Intervista al regista e al cast.
di Erika Melis

Alla conferenza stampa del nuovo film del regista sardo Enrico Pau erano presenti, oltre lo stesso Pau, gli attori, il rappresentante della distribuzione AranciaFilm, Simone Bachini, e Don Ettore Cannavera, fondatore e responsabile della comunità "La Collina", che ha partecipato attivamente alla lavorazione del film.

Esistono due versioni del finale. Nella prima Jimmy rientrava in comunità, mentre nella seconda, quella che poi si vede in sala, la scelta è lasciata agli spettatori. Perché ha fatto questa scelta?
Enrico Pau: Non sappiamo quello che lui farà dopo. Avevamo già girato la prima versione, ma mi sembrava un po' troppo consolatoria e buonista. Il mare per me rappresenta una sorta di confine e trasmette speranza. Raccontava molto di più di un ritorno che spiegava troppe cose. Nel secondo finale Jimmy guarda per la prima volta verso un nuovo orizzonte. Nel film ci sono anche tanti elementi simbolici, tipo il vetro rotto. Lasciarlo di fronte all'infinito è evocativo e poetico. Queste realtà non sono chiare e precise.
Don Ettore Cannavera: Emotivamente avrei preferito il primo finale, ma sono d'accordo sul fatto che la seconda scena sia più evocativa. Il finale rappresenta un po' quella che è la condizione dei ragazzi di oggi, prigionieri di se stessi.

Se e cosa ha lasciato ai protagonisti questa esperienza?
Valentina Carnelutti: E' difficile da esprimere in breve. La cosa principale che mi ha lasciato questa esperienza è una maggiore consapevolezza rispetto alla mia identità. Ho saputo che sono stata scelta per il ruolo di Claudia all'ultimo momento e avevo paura di ferire chi avesse vissuto un'esperienza simile. Per questo ho cercato l'aiuto di un mio amico psicanalista che si occupa di omicidi. In una telefonata di 6 ore mi ha raccontato la normalità di queste persone. Ho sentito una sorta di empatia con questo mondo, una sensazione di similitudine ed una mia anormalità. C'è un pregiudizio molto forte verso i detenuti. Dopo questa esperienza ho iniziato a collaborare con il carcere di Regina Coeli per un laboratorio di scrittura.
Nicola Adamo: Sono completamente d'accordo con Valentina. Il contatto con la realtà del carcere per le due settimane di ripresa non permette di venire a conoscenza della totale realtà di questo mondo. E' stata un'esperienza bellissima girare un film ed è stato bellissimo lavorare con i ragazzi del carcere. Anche se è stato difficile rapportarsi con un mondo in cui loro ci vivono e tu, invece, devi solamente riprodurre. Inizialmente pensavo di essere mal visto, ma mi sbagliavo. Con Giovanni, per esempio, abbiamo instaurato da subito un ottimo rapporto, perché non sono diversi da me e dagli altri ragazzi. Il carcere discriminizza e io ho respirato solo per un attimo quella che è la vita dietro le sbarre.

Che tipo di lavoro è stato fatto sul testo di Carlotto?
Enrico Pau: Alla sceneggiatura del film e al riadattamento del romanzo di Carlotto abbiamo lavorato in due, io e Antonia Iaccarino. La sensibilità di Antonia mi ha aiutato a rendere reale e vera la storia. Il romanzo si basa sull'esperienza di Antonio, un ragazzo che ha aiutato a creare "La Collina". Morto in una notte di settembre da solo, davanti alla televisione, all'improvviso a soli 26 anni. Una storia difficile da inserire nel film, allora abbiamo pensato al personaggio di Claudia. E' lei, infatti, ad accogliere gli elementi della vita di Antonio. Ha una vita che non conosciamo, è sempre presente nella vita dei ragazzi, sia in carcere sia in comunità. Non c'è nessun elemento aggressivo nel suo atteggiamento. Per noi Claudia è Antonio.

Il film ha avuto tanti premi e ora arriva nelle sale. Cosa ti ha emozionato di più?
Enrico Pau: L'emozione è quella degli incontri con le persone. Aver conosciuto Don Ettore, Giuseppe e poter lavorare con amici di teatro e con Valentina, che ho apprezzato molto ne La meglio gioventù, sono queste le cose che mi procurano l'emozione più grande, insieme all'incontro con il pubblico che, a mio avviso, vale 200 premi. Sento anche una grande responsabilità. La grande responsabilità nasce dal fattto che il film veicola realtà come quelle che Don Ettore vive tutti i giorni.

Non pensate che certi passaggi del dialogo, che si basano su uno slang cagliaritano e su parole in dialetto, possano risultare incomprensibili al di fuori della Sardegna?
Valentina Carnelutti: Avevo la stessa paura e allora ho fatto un esperimento. Tre settimane fa ho portato mio cugino ad una proiezione che si teneva a Bergamo. Il film funziona anche se non si capiscono appieno tutte le parole.
Simone Bachini: Se la storia funziona, il film funziona anche se certe parti sfuggono. L'importante è entrare in empatia con i personaggi. Questa è la realtà e nessuno parla in maniera limpida e con una pronuncia perfetta, stando attento alla dizione.
Enrico Pau: Una novità molto importante di questi ultimi anni è che al cinema si sta recuperando la radice geografica dei luoghi in cui sono ambientati i film. Si va alla ricerca delle sonorità, alla radice multiforme della lingua italiana. L'elemento regionale è molto importante, lo slang accentua l'elemento espressivo e non toglie niente alla comprensione. Per esempio, al festival di Giffoni i ragazzi provenivano da diverse nazionalità e hanno seguito la proiezione in rigoroso silenzio. Sono seguite tre ore di discussione, interrotte solamente perché dovevano proiettare un altro film!

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