06 Settembre 2011 - Conferenza
"Il villaggio di cartone"
Intervista al regista e al cast.
di Giuliana Steri

Presentano la pellicola a Venezia: Ermanno Olmi - regista, Michael Lonsdale - il Vecchio Prete, Rutger Hauer - il Sacrestano e Irima Pino Viney - Magdaha

Dopo ventitre anni da 'La leggenda del santo bevitore' Ermanno Olmi e Rutger Hauer si ritrovano in questo film. Signor Olmi, quali sono le considerazioni sul piano professionale e su quello umano?
Ermanno Olmi: Sul piano umano io e Rutger non ci siamo mai allontanati. Appena gli ho parlato di questo mio progetto ad Asiago, Rutger mi ha detto che sarebbe stato subito da me, non pensando che si trovata a ben ottocento chilometri di distanza.
Rutger Hauer: Io viaggio molto per lavoro, i chilometri non mi spaventano. Ho detto subito si non appena Olmi mi ha accennato del suo progetto, è stato molto bello che mi abbia invitato ad Asiago per parteciparvi.

Nel suo film lascia intendere che una chiesa abbandonata, sconsacrata, possa essere più utile di una in attività. Così le candele servono per scaldarsi, il fonte battesimale per raccogliere l'acqua, e cosi via. E' una metafora?
Ermanno Olmi: E' un film finalizzato, certo, a dimostrare qualcosa. Se non ci liberiamo degli orpelli, così come la chiesa che viene praticamente svuotata, noi non possiamo entrare in relazione con gli altri, saremo uomini di cartone e non reali. La chiesa è casa, aperta agli altri, a tutti. Se non apriamo la nostra casa intima, noi stessi, agli altri non possiamo entrare in relazione con loro. Gli orpelli peggiori sono sicuramente quelli culturali e religiosi. Se parliamo di religione cattolica, io preciso sono ebreo, vorrei suggerire ai cattolici di cercare di essere anche cristiani.

Nel film ci mostra i clandestini come gente socievole e simpatica. Perché tra loro ha inserito anche un kamikaze?
Ermanno Olmi: Perché non tutti i clandestini sono santi, anche tra loro nella realtà c'è la mela marcia. Il kamikaze vede come unica soluzione ai problemi un'azione violenta, è stato suggestionato dalla ragazza terrorista. Nella violenza non c'è umanità, per questo loro non si relazionano con gli altri e rimangono chiusi in se stessi.

Il suo prete dubita, soprattutto circa la fede, ma non ha dubbi sugli esseri umani. Come mai? Signor Lonsdale, come ha preparato questo personaggio?
Ermanno Olmi: La vera fede, e la cultura ideale, si ha quando il peso dei nostri dubbi è maggiore delle convinzioni della fede. Se non dubiti, non rifletti criticamente e ti rimetti in gioco, sei uno che si affida al pensiero di qualcun altro. Sei uno che delega la propria vita, ed è troppo comodo affidare il peso dei propri pensieri ad altri. E' come quando, in un momento di difficoltà, si cerca Dio e poi si dice che Dio non ci risponde. Sarebbe troppo facile! Noi stessi dobbiamo trovare le nostre risposte.
Michael Lonsdale: Io mi sono a lungo chiesto chi fosse in realtà questo prete, l'ho creato così come avete visto senza ispirarmi a nessuno. E' un prete di un'altra epoca, che ha sicuramente annoiato tanta gente con i suoi sermoni. Un uomo attaccato alle tradizioni, che si trova spaesato e non capisce cosa stia accadendo.

Lei ha sempre parlato, presentando le sue opere, delle domande e dei dubbi che la accompagnano. Li ha risolti?
Ermanno Olmi: Parlo sempre della stessa storia, della lotta tra il bene e il male. Io guardo a Gesù come ad un grande religioso ebraico, d'altronde l'origine è sempre quella. Siamo tutti fratelli, e se ritrovassimo la nostra fratellanza molti dei problemi dell'umanità si risolverebbero. Che senso ha ricostruire il tempio distrutto se poi il tempio è vuoto? Per me il tempio non è l'edificio e non solo gli orpelli, ma la comunità umana.

Nella chiesa sconsacrata infatti non ci sono più orpelli, ma neanche il Cristo sulla croce. Non è che si corre il rischio di ridurre il cristianesimo a semplice accoglienza?
Ermanno Olmi: Che cosa è più importante dell'accoglienza? Il simbolo? Il simbolo deve rimandare alla realtà di carne per avere un significato. Non a caso nel film il sacerdote, parlando con il suo piccolo crocefisso, dice che non prova pietà per lui perché lo sente troppo lontano. Dice anche quanta menzogna nella pietà! Dobbiamo inginocchiarci non davanti ai simulacri, perché Cristo ha sofferto duemila anni fa, ma davanti a chi soffre ora. Io sono convinto di ciò, però faccio fatica ad attuarlo. Mi rendo conto sia difficile per tutti.

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