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14 Settembre 2006 - Conferenza Stampa
"Il mercante di pietre"
Intervista al regista.
di Elisa Giulidori
Abbiamo incontrato a Milano Renzo Martinelli, il regista di "Il mercante di pietre". Un regista che ha sempre voluto affrontare temi scottanti e di grande attualità. Qui si cimenta con il problema più sentito, quello del terrorismo di matrice islamica e con il nostro modo di fronteggiare questo problema. Nella nostra intervista abbiamo però voluto parlare più del film, che delle polemica che sta suscitando la sua posizione violentemente antislamica.
Il suo film parla di un tema molto attuale, ma è stato in parte autoprodotto, come mai questa necessità di auto prodursi?
Renzo Martinelli: E' il mio modo di lavorare, fin dal mio primo film "Sarahsarà", ho sempre prodotto i miei film per conto mio, io sono sempre stato sia regista che produttore.
Metto insieme il piano finanziario, quindi gestisco tutto l'investimento, oltre a girare il film. Questo mi permette un'enorme libertà sul set. Mi permette di investire su certe scene, se mi va di investire, di risparmiare su altre, mi permette di dare al film, quello che si dice, un production value alto. Se uno vede "Il mercante di pietre" pensa che sia costato 12-15 milioni di euro, è costato meno della metà. Perché fare entrambi i ruoli permette di risparmiare.
Il suo protagonista è menomato, perché questa scelta?
Renzo Martinelli: Due sono stati i motivi che ci hanno spinto a privilegiare questa scelta. Nella prima versione lui le gambe le aveva. Poi ragionando con i miei collaboratori ci siamo posti una serie di domande, per esempio: il fatto che il terrorismo gli ha portato via mezzo corpo, gli ha permesso di sviluppare antenne più sensibili, come i ciechi, che riescono a cogliere dei segnali che la media delle persone non riesce a vedere. Quindi il nostro protagonista menomato vede nel mercante qualcosa di malefico, vede prima degli altri qualcosa di malefico dietro questo personaggio. E questa è la prima motivazione. La seconda era che le affermazioni che il personaggio fa nel film sono molto forti, e ci sembrava più opportuno giustificare questa sua avversione attraverso una sofferenza fisica. E' stato talmente provato da aver poi sviluppato un'avversione molto forte. Le stesse cose dette da una persona normale avrebbero un effetto molto più devastante. Sarebbero sembrate come il punto di vista del regista, come se io avessi messo in bocca a quel personaggio il mio modo di vedere il confronto tra Islam e occidente. E non è così. Certo dice molte delle cose che io penso, però il fatto che sia menomato gli ha dato più nobiltà e più dignità.
Nel film inserisce due balletti: quello dei dervisci e il lago dei cigni. Come mai questo parallelismo?
Renzo Martinelli: La scena dei dervisci rotanti è stata inserita perché l'asse portante del film è l'amore. Il mercante di pietre scopre dentro di sé un sentimento che non ha mai provato prima, che è l'amore per un altro essere umano, che è più forte del suo credo in Allah che l'ha sempre guidato. Il sufismo è un messaggio d'amore universale.
Ecco perché il mondo wabita, il radicalismo islamico, è così ostile al sufismo, perché è un messaggio d'amore. Perciò il fatto che il mercante porti inconsciamente Leda a vedere la danza dei dervisci in qualche modo prepara il suo cambiamento psicologico nei confronti di questa religione. Nel lago dei cigni, invece, il cigno è simbolicamente Leda. Il cattivo che insidia il cigno è il mercante che è seduto dietro e la sta osservando. La scena è giocata tra il palcoscenico, Leda e il marito e il mercante che è seduto dietro. Quindi lei è il cigno che viene circuito e che poi verrà distrutto.
Nel suo film utilizza spesso il piano inclinato, come mai questa scelta registica?
Renzo Martinelli: Le inquadrature sbollate, questo è il termine tecnico, è l'esigenza di tenere nella stessa inquadratura più elementi. Quando si gira in cinema scope, che è un formato orizzontale molto ampio, e si hanno molti elementi verticali tenerli nell'inquadratura è complicato. Sbollando la macchina in diagonale si guadagna spazio. Questa è una scelta.
E poi una linea obliqua psicologicamente è più forte di una dritta o orizzontale. Crea un effetto ansiogeno che in certe sequenze funziona. Certo non deve farlo sempre, ma può dare più forza ad una scena.
All'interno del film ha voluto inserire anche alcune scene dell'11 settembre, perché?
Renzo Martinelli: Quelle immagini sono nell'immaginario collettivo. L'11 settembre è il punto di svolta, il momento in cui l'occidente ha preso coscienza di un fenomeno che prima avevamo sempre sottovalutato.
Ad esempio Un terzo degli attentatori partono da Amburgo, frequentavano la moschea di Amburgo, in tutta la città di Amburgo c'era un solo addetto all'antiterrosismo mussulmano e non conosceva l'arabo. Quindi era un occidente totalmente impreparato a questo fenomeno, quelle immagini servono a far capire che è da lì che si deve partire.
Tutto nel suo film è documentato…
Renzo Martinelli: Infatti, tutto in questo film è documentato, è questo ciò che spaventa di più. Io non mi sono inventato niente. Le parole che dicono i terroristi sono prese da intercettazioni della Digos. Il discorso che fa Murray Abraham nella moschea è preso di peso da quello fatto dall'Imam di Roma nel 2003. Questo è l'aspetto terrificante che non è finzione. E' realtà trasformata in drammaturgia cinematografica.
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