03 maggio 2001 - Conferenza stampa
Ermanno Olmi
Intervista con il regista de "Il mestiere delle armi"
di Valeria Chiari


Ha scelto una musica molto particolare che ricorda quella di quei tempi ma non è l'originale?
Per questo film ho ascoltato moltissime musiche degli inizi del XVI secolo che segnano gli umori dell'epoca. Ma io volevo piuttosto evocare il passato, anche rielaborandolo. La ragione dell'evocazione sta nella coincidenza con il passato. Volevo raccontare il passato ma anche ciò che sono i miei sentimenti di oggi. Anche con la pittura, che Giovanni spesso guarda dal suo letto di morte, ho fatto la stessa cosa: ho cercato l'evocazione attraverso una miscela di immagini, e non nella precisione artistica e storica dell'arte.

Con quale emozione si avvicina a Cannes di quest'anno?
A 70 anni si è molto diversi dai 40 o dai 20. A 20 anni si entrava in una festa si cercava la bella che diventava subito la Palma d'Oro. Ci si metteva in gara. Ora a 70 vado alla festa per la festa. Il tempo delle gare è passato, grazie a Dio comincia il tempo delle feste.

Nel film uno dei personaggi dice "Le armi cambiano le guerre, ma le guerre cambiano il mondo". Lei pensa sia davvero così?
Si purtroppo è proprio questo il guaio: per cambiare il mondo e le persone ci vogliono le guerre. Dopo aver vissuto una guerra le persone sono migliori. Non si sa per quanto tempo ma sono migliori. Non capisco perché per diventare uomini abbiamo bisogno ancora delle guerre.

Da cosa è stata dettata la scelta di un linguaggio non italiano né precisamente cinquecentesco?
La prima stesura del copione aveva tutti i dialoghi in italiano arcaico rigoroso. Ma è stato nel momento del confronto con gli attori che si è sviluppata la trasformazione di quel linguaggio in qualcosa di più comprensibile e facilmente ripetibile. Sono stati loro a trovare una via di mezzo. Una rielaborazione evocativa anche quella.


  

Intervista a Ermanno Olmi


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