03 Settembre 2006 - Intervista ESCLUSIVA
"Black book"
Intervista al regista.
di Andrea D'Addio
Incontriamo Paul Verhoeven sulla terrazza del Nikki Beach proprio davanti al Casinò, uno degli edifici, dove solo due ore prima è finita l'anteprima per la stampa del suo film, quel Black Book che segna il ritono (da un punto di vista lavorativo) dopo vent'anni in Olanda per il regista di Robocop, Atto di forza e Basic Instict.
Un ritorno fatto mantenendo lo stile hollywoodiano...
Verhoeven: Si, è vero, ma non è questa la cosa importante. Avevo bisogno di poter pensare bene a che lavoro fare, non avevo fretta. Sono stato attirato da questa sceneggiatura che da vent'anni cercava di essere portata sul grande schermo. Un progetto serio, che non mi è importato fosse europeo, anzi... Fosse stata una questione di soldi, non sarei mai tornato, ma per fortuna i soldi li ho e posso fare delle scelte.
Un film che dal pressbook leggiamo essere una storia quasi vera...
Verhoeven: Ero molto irritato dai cliché sull'argomento, e sopratttutto riguardo ai cliché sui tedeschi. Ho cercato di leggere, di fare molta ricerca, ed ho scoperto che le cose erano molto più complesse di quanto la gente pensi. Ed è una cosa che mi piace molto fare ricerca, trovare cose che non sono ancora molto divulgate. Soprattutto mi ha interessato la situazione alla fine del conflitto degli anni tra il '44 e il '45. E così molto di quello che vedete è basato su dfatti realmente accaduti. Molti dei perosnaggi sono persone realmente esistito, l'ufficiale tedesco...quegli ufficiali tedeschi. Sono strettamente collegati alla realtà. I nomi sono stati cambiati logicamente, ma sono comunque molto vicini alla realtà, più di quanto possiate pensare. E così oltre all'idea dell'ufficiale tedesco, anche l'avvocato è ispirato ad una figura realmente esistita. Il suo vero nome era DeBoer. Ed è stato ucciso due o tre giorni dopo la liberazione ed aveva qualcosa di molto vicino al libro nero, contenente informazioni, personaggi loschi operanti nell'abito della resistenza. Non tutti i buoni erano davvero buoni, spesso lo facevano per fini personali. Così come nelle fila tedesche c'erano molti personaggi costretti. Questo libro è poi scomparso quindi è probabile che l'avvocato sia stato ucciso da uno dei membri della resistenza che non voleva che queste informazioni fossero rese pubbliche. Tutti questi elementi sono stati utilizzati nel film.
Ribalta le convenzioni del politicamente corretto...
Verhoeven: Si, credo che sia una buona cosa, perchè la vita è piena di sorprese. Le persone spesso si rivelan o differenti da come appaiono. Voglio dire, queste cose capitano. Ed è piacevole andare contro le convenzioni. Mi piace fare quello che il pubblico non si aspetta. Sono sempre stato incline a portare elementi innovativi in temi che possono essere considerati se volete provocatori, sicuramente controversi.
In tutti i suoi film le donne hanno dei ruoli principali...
Verhoeven: In primo luogo io amo molto le donne. Sono davvero la mia passione. In particolare le donne dotate di carisma. Tutte quelle che ho scelto hanno qualcosa di particolare, come gli occhi della protagonista di Black book, che poi si è dimostrata anche una grandissima persona. E' stato un vero piacere lavorare con lei. E' molto gentile, semplicemente deliziosa. Penso che potrei farle fare qualunque cosa a livello cinematografico, una delle mogliori con cui mi sia capitato di lavorare, ed anzi mi congratulo con me stesso per averla trovata. Anzi se non ci fosse stata lei, non so quante altre avrebbero potuto fare un lavoro così ben fatto come il suo.
Che ne pensa di Basic Instict due?
Verhoeven: (sorride) E' stata una storia davvvero strana quella di questo sequel. Io avevo pronto un progetto per farlo, ma avrei accettato solo se accanto a Sharon Stone ci fosse stato un attore importante, uno che potesse reggere un suo sguardo. Molti sottovalutano l'importanza di Michael Douglas in Basic Instict, e questo perchè il personaggio di Sharon era quello bugiardo, mentre quello di Michael era più convenzionale. Ma Michael è un attore straordinario, uno che cattura l'obiettivo della macchina e non lo molla. E' la macchina da presa che va da lui e non viceversa. Lui fu fondamentale per la riuscita del film. Ma la produzione voleva risparmiare, già la Stone costava parecchio, e cossì ingaggiare un grande attore, un qualcuno che potesse tenere testa a Sharon non è stato consentito. Ho preferito quindi non partecipare al progetto, che poi comunque non ho neanche visto.
Lei ha detto che "Hollywood è stata la sua infanzia" ed il cinema europeo la sua età adulta
Verhoeven: Quando lasciai l'Olanda per recarmi negli Stati Uniti avevo realizzato dei film realisti. Di ogni genere come il "Soldato Gross", il "Quarto uomo" ed erano molto più biografici di quanto la gente sia portata a credere. Erano biografie o autobiografie. E poi ho avuto a che fare con quello stravagante copione di Robocop. Lo realizzai soltanto perchè mia moglie mi suggeri di rileggerlo mettendo in evidenza un aspetto più personalistico. Così ho fatto questo film, ed è stato un vero piacere, molto soddisfacente da un punto di vista creativo. Come riferimento ho usato molto di quello che avevo letto durante gli anni 60, specialemnte fumetti. Ovviamente in Olanda trovai per lo più TenTen. E poi anche sicuramente i supereroi americani: l'Uomo ragno, Superman, Conan il barbaro. Io ne ero appassionato. Mi ricordo della loro lettura come delle ore più felici della mia vita. E sentivo che Robocop dovesse tornare a quel genere di atmosfera per essere davvero soddisfatto. Una zona particolare tra horror e fantascienza. Ed in un certo senso quello che facevo era affine al realismo precedente e per ottenerlo mi affidavo molto ai miei ricordi di gioventù, alle mie passioni. Grazie a questo ho potuto fare questi film e credo che siano andati abbastanza bene. A volte nel realizzare film su uomini così particolari avevo la sensazione di perdermi. Temevo di non poter mettere un'impronta personale su questi personaggi. Mi dicevo. Gli Studios vogliono questi films, ed avevo la sensazione di non potermi proiettare nel processo creativo. Semplicemnte perchè non ne sapevo nulla. Alla fine però in Robocop ho potuto inserire messaggi politici, satirici. Questo perchè il mio cosceneggiatore era una delle persone più brave con cui abbia mai lavorato. E così da Robocop fino a Starship Troopers ho avuto la sensazione di portare sempre più avanti queste idee. Così sapevo proprio in quale direzione stavo andando. E non solo perchè il film ha avuto ottimi finanziamenti. A quel punto però mi sono dovuto fermare perchè mi sono reso conto di non potere andare oltre nell'ambito della fantascienza. Così ho effettuato la scelta consapevole di rifiutare tutto quello che non mi era prossimo, non mi era molto vicino.
Vuol dire che non tornerà mai al cinema di fantascienza?
Verhoeven: Penso di si, ma al momento quello che mi interessa non è il genere del film che vado a fare, ma la possibilità di lavorare un progetto nella più assoluta libertà sia artistica che di tempo. Il mio prossimo film dovrebbe essere sempre una storia ambientata a ridosso della seconda guerra mondiale.
E così, seppur più che a domande e risposte, abbiamo assistito ad vero proprio monologo, è bello vedere come un regista del calibro e dell'importanza di Paul Verhoevn abbia ancora entusiasmo e voglia di dire a tutti il suo modo di fare e vedere cinema.
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