Patto di sangue
Lungometraggio che, nell’ormai lontano 1983, segnò il debutto dietro la macchina da presa per il Mark Rosman poi dedicatosi quasi esclusivamente alla televisione e a un paio di film interpretati da Hilary Duff, "The house on Sorority Row" – circolato dalle nostre parti con il titolo "Non entrate in quel collegio" – si riallacciò alla moda lanciata da "Halloween - La notte delle streghe" (1978) e "Venerdì 13" (1980) inscenando il massacro ai danni di un gruppetto di scatenate studentesse, colpevoli di aver accidentalmente provocato la morte della direttrice del loro dormitorio.
Con la veterana Carrie "Guerre stellari" Fisher nei panni della donna e sotto la produzione esecutiva dello stesso Rosman, è Stewart Hendler, regista del demoniaco "Il respiro del diavolo" (2007), a curarne questo rifacimento in cui, però, la serie di omicidi ha inizio dopo che, a causa di uno scherzo dagli esiti tragici, a rimetterci le penne è proprio un’amica delle giovani protagoniste, tra le quali citiamo la figlia d’arte Rumer "La coniglietta di casa" Willis, la Jamie Chung di "Dragonball evolution" (2009) e la Briana Evigan di "Step up 2 - La strada per il successo" (2008).
Giovani protagoniste che, come c’era da aspettarsi, sono questa volta fornite di laptop e telefoni cellulari e parlano di YouTube, mentre l’arma prediletta dell’assassino, che se ne va in giro incappucciato tra feste e scherzi come quello del poco conosciuto "Beverly Hills - Delitti al college" (1989) di Bob Bralver, non è più il bastone terminante con la riproduzione appuntita di un volatile, bensì una opportunamente modificata chiave a croce per ruote.
Quindi, un remake che si discosta molto dalla pellicola originale, riagganciandosi piuttosto alla corrente slasher della seconda metà degli anni Novanta, con "So cosa hai fatto" (1997) di Jim Gillespie quale referente principale.
Infatti, sorvolando sui dialoghi non sempre convincenti e sui comportamenti spesso inverosimili di alcuni personaggi, ormai costanti del filone, anche la tipologia di violenza portata sullo schermo – decisamente lontana da quella sofferta e sadica del torture porn d’inizio XXI secolo – sembra provenire direttamente dal decennio segnato da "Scream" (1996) di Wes Craven.
Qui al servizio di un’operazione che presenta di sicuro un certo sapore di già visto, ma un già visto che, a differenza di indigeribili prodotti come "Che la fine abbia inizio" (2008) di Nelson McCormick, si lascia tranquillamente (ri)vedere.

La frase: "So quello che avete fatto, so che lei è morta".

Francesco Lomuscio

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