Solo andata - Il viaggio di un Tuareg
"Ho incontrato i protagonisti di questa storia quasi dieci anni fa in Niger e il rapporto di amicizia e di fiducia reciproca che si è instaurato tra noi è l’elemento fondamentale che ha permesso la realizzazione di questo complesso progetto documentario".
A parlare è il milanese classe 1963 Fabio Caramaschi, autore, tra gli altri, dei documentari "Game over" (1995) e "Residence Roma" (2001), il quale ci porta nella vita del giovane Tuareg Sidi, erede degli "uomini blu" del deserto del Sahara emigrato insieme alla sua famiglia a Pordenone, nel nord-est industriale italiano.
Ma è attraverso la videocamera impugnata dallo stesso Sidi, il quale afferma di voler diventare giornalista, che Caramaschi lascia emergere – in un gioco tecnico-artistico in un certo senso accostabile alla tecnica di racconto del film nel film – l’identità adolescente del simpatico protagonista, divisa tra il desiderio di integrarsi nella nostra realtà e la nostalgia della vita semplice e libera dell’infanzia africana.
La dura vita del deserto, alla quale è difficile tornare se sei cresciuto in Italia, paese visto dalle popolazioni di quelle immense distese come posto in cui tutti sono felici, ma anche dove gli africani sono considerati tutti uguali, accomunati soltanto dal colore della pelle, e dove chi non ha problemi di denaro fatica non poco ad apprendere che la vera ricchezza sia identificabile nei propri figli.
Perché, tra passaggi del Corano posti in sovrimpressione, escursioni in centri commerciali ed apparizioni televisive di Enzo Bortolotti della Lega Nord, è un viaggio-inchiesta sia alla scoperta del nostro universo che di quello del piccolo protagonista che Caramaschi sintetizza in circa 52 veloci minuti di visione.
Tirando in ballo anche il padre di Sidi, impegnato a vincere la sua battaglia contro la burocrazia per ottenere i documenti utili a far venire in Italia il figlio più piccolo Alkassoum, che aveva dovuto abbandonare per anni in Niger a causa delle leggi nostrane sul ricongiungimento, e un fruttivendolo che parla degli italiani tutt’altro che propensi a svolgere faticose attività lavorative spesso ricoperte dagli stranieri.
Con le non disprezzabili musiche di Riccardo Cimino a fare da commento al tutto.

La frase: "Soprattutto all’inizio per me è stato difficile ambientarmi perché non conoscevo nessuno".

Francesco Lomuscio

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