Frank Gehry creatore di sogni
"Quando Gehry mi disse: vorrei che fossi tu a dirigere questo lavoro, gli risposi che non avevo mai fatto un documentario e non sapevo nulla di architettura. Lui replicò: Proprio per questo!" così Sidney Pollack ha presentato il suo ultimo film alla stampa statunitense. Dopo oltre venti film realizzati da regista, sette oscar per "La mia Africa" e 46 nominations totali agli Oscar per i suoi lavori, il grande amico di Robert Redford (sette film assieme nonché la co-fondazione del Sundance Festival) non aveva ancora realizzato un documentario. Ecco quindi servita la storia, i pensieri e soprattutto le opere, del grande architetto contemporaneo Frank Gehry, da anni amico di Pollack (sono quasi coetanei, Gehry del '29, Pollack del 34).
Per chi non conoscesse questo personaggio, per trovarne le coordinate basta dire che è stato l'autore dell'acclamato Museo Guggenheim di Bilbao nel 97, nonché, andando a ritroso nel tempo, della Walt Disney Concert Hall di Los Angeles nell'87 e del Fishdance Restaurant di Kobe nell'86, più tante e sempre particolarissime opere.
Un architetto con uno stile inconfondibile universalmente apprezzato, che Pollack decide di raccontare attraverso interviste, visite alle strutture che lo hanno reso celebre e commenti di addetti ai lavori o semplici conoscenti.
Ne esce fuori un'apologia dell'architetto interessante, ma non perfettamente riuscita da un punto di vista cinematografico, proprio perché omaggio verso Gehry e non desiderio di fare della sua storia e creatività il tentativo di portare avanti qualche tesi. Non che ci si annoi, ma il film risulta schiacciato sulla figura del suo protagonista, mancando di una visione d'insieme o di un qualsiasi spirito critico. Sì, tra i tanti intervistati c'è anche un critico "bastian contrario", ma non è tanto quello che viene detto ad essere importante, quanto l'approccio di chi pone le domande. E Pollack si limita a registrare le impressioni degli altri, senza dare alcun suo apporto all'argomento. Pesa poi, come lo stesso Pollack afferma in una scena del film, la difficoltà nel rendere sullo schermo la bellezza tridimensionale delle creazioni di Gehry su di un mezzo, il cinema, che è bidimensionale per definizione. Si rimane comunque affascinati da quello cui un critico riconosce il merito di "aver modificato un settore molto conservatore", ma al contempo un po' delusi di come questa grandezza, dal grande schermo, non trapassi.

La frase: "Per fare un edificio ci vuole così tanto tempo che quando è finito non mi piace più".

Andrea D'Addio

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