Silence between two thoughts
Haji è un vecchio e sanguinario integralista. Con la forza delle armi riesce ad imporsi come capo spirituale in un piccolo villaggio sperduto nel deserto iraniano.
I suoi adepti sono altrettanto spietati: seminano morte e terrore ovunque. Fra gli abitanti del villaggio regna lo sgomento. Alcuni si adeguano alla nuova situazione ed entrano a far parte della milizia del vecchio Haji, altri tacciono impauriti.
Fra i tanti che rispondono alla chiamata c'è anche un giovane che viene "assunto" per fare il boia. Egli svolge con freddezza il suo compito, convinto di agire secondo la legge divina. Un giorno però Haji blocca l'esecuzione di una ragazza, rea di aver trasgredito ad una delle tante leggi coraniche e obbliga il boia a sposarla. Nonostante l'iniziale reticenza il giovane obbedisce ancora una volta agli ordini, ma si rende conto che è stato ingiustamente punito.
Intanto i seguaci di Haji continuano nella loro opera terroristica, uccidendo perfino il muezzin. La popolazione, esasperata si ribella, costringendo Haji alla fuga e ammazzando tutti i traditori, compreso il giovane boia. Detta così, la trama può sembrare poco avvincente, lenta e pesante. In effetti è così, ma il valore di questo lungometraggio va ricercato soprattutto nelle angherie che il regista ha subito per poterlo realizzare a causa delle pesanti (anche se non dirette) critiche verso il regime di Teheran.
Più avvincente del film, è infatti la rocambolesca fuga del suo realizzatore: munito di un doppio passaporto (ha anche la cittadinanza canadese) Payami è riuscito a fuggire dall'Iran e a portare con sè la copia digitale del suo lavoro.
Quella presentata qui a Venezia, è infatti un'opera incompleta, in cui il montaggio non è preciso, la fotografia è scarna, le scene a volte appaiono sconnesse. Forse non vedremo mai quello che sarebbe potuto essere il risultato finale, forse l'unica copia esistente, e rimasta in Iran, è andata distrutta, ma la critica verso un regime ingiusto e sanguinario, integralista e bigotto resta nonostante la censura, anzi, il suo grido si leva più forte che mai.

Teresa Lavanga

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