Sette opere di misericordia
1-Dar da mangiare agli affamati.
2-Dar da bere agli assetati.
3-Vestire gli ignudi.
4-Alloggiare i pellegrini.
5-Visitare gli infermi.
6-Visitare i carcerati.
7-Seppellire i morti.
Rileggere in maniera equivoca, se non addirittura polemica, le sette opere di misericordia corporali che, nel Vangelo secondo Matteo, Gesù chiese per ottenere il perdono dei peccati di ogni essere umano per entrare nel suo regno, legandole ad una storia di cruda sopraffazione e ricerca di rinascita: è questo il concetto alla base dell’esordio alla regia dei gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio.
Vincitore del Premio della Giuria al Festival di Marrakech e già presentato a Locarno (dove si è aggiudicato il premio della Giuria dei Giovani e quello della Federazione Internazionale dei Cineclub), "Sette Opere di Misericordia" è un film tanto essenziale e "silenzioso" nella messa in scena tanto quanto potente, anticonvenzionale e teso nella narrazione.
La protagonista è un’immigrata moldava che cerca di uscire fuori dalla sua situazione di "schiava moderna", obbligata dalla sua famiglia a mendicare e rubare,diventando a sua volta carnefice quando sequestra un vecchio uomo malato pur di poterne occupare la casa. I sette capitoli di cui si compone il film si concludono sempre con una scena emblematica che richiamano ogni volta una delle sette opere di misericordia succitate dando un ritmo sostenuto ad una vicenda che altrimenti rischierebbe di apparire troppo celebrale. Potrebbe pure apparire come un semplice espediente narrativo, ma queste chiusure ad effetto sfidano costantemente lo spettatore come se davanti a lui stessero scorrendo i fotogrammi di un thriller. I De Serio fanno "cinema", lavorano sui corpi e compongono ogni immagine di luci (facile pensare che ci siano richiami anche al celebre e omonimo quadro di Caravaggio) e movimenti di macchina che acquistano tanta forza quanto sono minimi e talvolta imprevisti. Le ottime interpretazioni di Olimpia Melinte e Roberto Herlitzka contribuiscono a mantenere molto alto il livello totale della produzione. Ben vengano opere prime come queste, seppur non adatte ad ogni tipo di pubblico.
La frase:
"Non ora, non qui".
a cura di Andrea D'Addio
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