Se chiudo gli occhi non sono più qui
A due anni dalla morte del padre, l’adolescente italo-filippino Kiko non è ancora riuscito a elaborare il lutto. Costretto a vivere e a lavorare con il nuovo compagno della madre, trascura lo studio e la vita sociale, rassegnato a un destino di lavori manuali in un’azienda che impiega lavoratori clandestini. L’apparizione nella sua vita di Ettore, anziano ex-professore che dichiara di essere un vecchio amico del padre, potrebbe spronarlo a combattere per un futuro migliore.
“Se chiudo gli occhi non sono più qui” di Vittorio Moroni è finalmente pronto per essere presentato al pubblico dopo una gestazione durata quattro anni. Si tratta di un piccolo film che non teme di affrontare una quantità spaventevole di temi contemporanei dietro la storia di un’adolescenza – rinascita. Armata di un notevole coraggio (troppo, forse), la sceneggiatura si muove tra operai clandestini, bullismo, scuola, scontri generazionali e accenni all'omosessualità senza paura di soccombere sotto il macigno delle questioni sollevate. Il che a tratti succede: dovendo concentrare il tutto in 110 minuti, qualche passaggio risulta frettoloso o bisognoso di essere meglio limato. La forza del film consiste nella costruzione del personaggio di Kiko, ragazzo emarginato che vive all'ombra del fantasma del padre, incapace di sopportare ma soprattutto di spiegarsi il perché di un tale dolore. Moroni lo segue nella sua presa di coscienza, dalla rassegnazione all'epifania sollecitata da Ettore, con l’utilizzo della camera a spalla per intensificare e rendere più reale la sua tragedia quotidiana, rispettando sempre il suo punto di vista di adolescente che fatica a distinguere il bene dal male. Il punto debole della pellicola, invece, non è solo l’enorme mole di problemi trattati, ma il fatto di trattarli in vista di un “politically correct” dal sapore buonista e quasi qualunquista al contrario. Frasi come “L’omosessualità e l’eterosessualità non esistono. Esistono le persone e il loro amore” non servono a nulla se non a creare imbarazzo.
Spesso Vittorio Moroni esagera con l’ambizione, facendo un uso smodato, esagerato e incontrollato della voce fuori campo del ragazzo che si interroga sull'origine del mondo e su altri quesiti esistenziali che stridono non poco con l’immagine dell’adolescente che viene proposta nel resto del film. E anche riempire l’ultima mezzora di aforismi come “La vera scoperta non è di nuove terre, ma di nuovi occhi” o “Mi ribello, dunque siamo” provoca solo fastidio e sbuffi in sala, perché dispiace che un film potenzialmente interessante debba scivolare a tratti nel ridicolo-pretenzioso poiché non si è in grado di riconoscere – ma soprattutto accettare – i propri limiti.
La frase:
"Chi non è pronto a lottare per qualcosa, non la vuole davvero".
a cura di Luca Renucci
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