S. Darko
Con Donnie Darko, il regista Richard Kelly c’aveva visto giusto. Il suo esordio dietro la cinepresa era un concentrato ben amalgamato di paranoie adolescenziali, ottime musiche (per lo più cover dei Tears for Fears) ad opera di Michael Andrews, un cast di quelli “interessanti” (Drew Barrymore, Patrick Swayze, i fratelli Gyllenaahl, Noah Wyle), e viaggi temporali usati più come pretesto per simbolismi ed echi fantascientifici, che per creare veri e propri intrecci narrativi.

Ecco quindi giungere S. Darko (dove la “s” potrebbe stare per decine di vocaboli diversi come: Samantha, second, sequel, sister, ecc.). In questo ideale seguito la ora cresciuta sorellina minore di Donnie, Samantha, interpretata ancora da Daveigh Chase e accompagnata dall’amica Briana Evigan (Step-Up 2) vaga per l’America alle prese con bizzarre visioni che preannunciano la fine del mondo…

Dietro la cinepresa troviamo questa volta Chris Fisher (Richard Kelly ha infatti preso le distanze da questo progetto), autore del poco conosciuto Nightstalker che piazza la propria regia dalle parti del videoclip (cosa che, anche se in modo meno evidente, era caratteristica anche del primo episodio). E’ la sceneggiatura, ad opera di Nathan Atkins, a risultare però troppo inafferrabile e a tratti persino irritante. Basti pensare che a un certo punto si ha la sensazione che i personaggi vaghino senza meta per gli scenari della pellicola.

Ma ciò che colpisce negativamente questo S. Darko, è anche il differente approccio al tema dell’adolescenza. In Donnie Darko vivere la propria adolescenza significava lottarci contro. Significava volerla capire. Significava viverla, fino alla morte. In S. Darko invece la giovinezza è solo osservata, senza essere compresa. Si vaga dentro e intorno ad essa, ma senza mai afferrarla. Fino a perdersi.
E’ quello che succederà a Samantha che, tra “pensieri e parole”, lascia fondamentalmente incompiute le proprie intenzioni.

La frase: "…Questa era un città tranquilla. Un posto per bene. Poi sono venute le droghe e il sesso anale…".

Diego Altobelli

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