Scossa
Cento anni fa un violento terremoto devastò le città di Messina e Reggio Calabria oltre ovviamente tutte le cittadine limitrofe, causando migliaia di morti. I sopravvissuti l’hanno sempre descritto e ricordato come il giorno peggiore della loro vita, un giorno come tanti che improvvisamente ha modificato il loro destino, li ha travolti con violenza, portando morte e distruzione. Nonostante il tempo trascorso, ancora oggi questo tipo di eventi naturali colpisce indiscriminatamente e senza rimedio, continuando a mietere vittime e dolore, dunque a nulla è servita la scienza e la tecnologia? E come reagiscono le istituzioni? A queste domande risponde con eleganza e delicatezza la pellicola presentata fuori concorso alla 68° edizione del Festival di Venezia: "Scossa", un lungometraggio realizzato a otto mani da quattro grandi registi, diversi per indole, tecniche narrative e stile, ma accomunati da un’unica ideologia. Sono quattro racconti diversi, che ricordano i sentimenti e i momenti della tragedia del 1908, scritti e diretti rispettivamente da Carlo Lizzani, Ugo Gregoretti, Citto Maselli e Nino Russo. Registi e narratori che in un arco temporale di pochi minuti descrivono i sentimenti, raccontano la vita di persone, rendendo così l’opera estremamente eterogenea, ma strettamente legata.
Nella prima storia una mamma sotto le macerie cerca aiuto disperandosi e pensando ai propri figli, che per giunta, in mezzo a tanto orrore, è costretta perfino a guardare negli occhi il ladro/lo sciacallo che fa i comodi suoi fra i resti della sua casa o meglio della sua vita.
Nella seconda il protagonista è un giornalista che accorre sul luogo dell’evento per raccontare ciò che vede con i propri occhi, per scuotere le coscienze degli italiani e soprattutto della loro classe politica.
Nella terza c’è un pescatore arrestato perché pescava in acque non italiane che fugge dalla prigione ormai crollata e corre a casa alla ricerca della moglie e dei figli. Tutto è distrutto e non gli resta che scavare con le sole mani chiamando la sua amata compagna, peccato che un gruppo di marinai russi accorsi per aiutare lo scambino per uno sciacallo a causa delle incomprensioni linguistiche. Non c’è scampo è la corte marziale.
Infine il quarto protagonista è un povero pescatore, dopo aver perso la casa, si rifugia nel suo capanno per gli attrezzi sulla spiaggia, ben presto si vede espropriare l’unica cosa che gli resta e così attende. Attende che l’esproprio venga concretizzato e che gli diano una casa come promesso dall’atto giudiziario, ma dopo qualche anno stanco della situazione chiede consiglio ad un amico avvocato, poi dopo venti anni ad un podestà fascista, dopo 40 anni al parroco del paese e infine ai giorni nostri ad un impiegato del comune. Ha ormai compiuto la bellezza di 160 anni eppure ancora non ha ottenuto la casa promessa e così aspetta ancora e ancora, perché vuole morire fra quattro mura su un bel letto.
Quest’ultimo racconto mostra ciò che viene sottinteso nei precedenti racconti, il confronto fra l’Italia di oggi e l’Italia d’allora è il vero filo rosso che unisce l’opera, mostrando una raccapricciante similitudine.
Il ritmo è lento e a volte sembra fermarsi per sottolineare i sentimenti di questa tragedia, descrivendo un mondo ormai perduto eppure così vicino. Bravissimi gli interpreti da Lucia Sardo a Gioacchino Cappelli del primo racconto, da Paolo Briguglia del secondo racconto a Massimo Ranieri e Amanda Sandrelli nel terzo racconto fino ad arrivare a un divertente e bravissimo Gianfranco Quero.
La frase:
"Ogni descrizione, ogni invenzione sarà sempre al di sotto dell’atrocità del vero".
a cura di Federica Di Bartolo
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