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The Ring 3La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio15 marzo 2017Voto: 5.5
Prima di passare a due anni più tardi, sotto la regia di F. Javier Gutiérrez riprende il via tramite un’inquietante sequenza che si svolge a bordo di un aereo il terzo lungometraggio made in USA derivato da quel giapponese “The ring” che, diretto nel 1998 da Hideo Nakata prendendo ispirazione da un romanzo di Suzuki Koji, non solo impose sulla scena del cinema asiatico e della cultura pop il J-horror (quello nipponico, per intenderci), ma finì per generare diversi derivati.
Infatti, al di là dello sceneggiato televisivo “Ring: Kanzenban”, che lo precedette addirittura di tre anni nell’attingere dalla stessa fonte letteraria, è dopo la sua uscita che hanno visto la luce sia le serie per il piccolo schermo “Ring: Saishuushou” e “Rasen” che il sequel “Ring 2” e il prequel “Ring 0: Birthday”, il primo sempre di Nakata, il secondo di Norio Tsuruta; senza considerare la continuazione apocrifa “The spiral” di Joji Iida e il rifacimento coreano – ma co-prodotto dal Giappone – “Ring Virus” di Kim Dong-bin. Fino ad arrivare, appunto, al remake a stelle strisce che, firmato nel 2002 da Gore Verbinski e voluto dai produttori Walter F. Parkes e Laurie MacDonald per distaccarsi dalla allora dilagante moda degli slasher movie proto-“Scream” ed abbracciare una tipologia di film di paura più vicina a classici dell’angoscia su celluloide quali “L’esorcista” di William Friedkin e “Rosemary’s baby – Nastro rosso a New York” di Roman Polanski, è stato seguìto da un “The ring 2” che vide ancora una volta dietro la macchina da presa Nakata. Un secondo capitolo che non si rifaceva affatto all’omonimo capostipite orientale, ma si limitava a proseguire in maniera piuttosto monotona e senza troppa fantasia la vicenda della giornalista Rachel Keller alias Naomi Watts introdotta nella pellicola precedente e che non ritroviamo all’interno di questo nuovo tassello, in quanto del tutto scollegato agli altri due. Perché, in realtà, è soltanto il titolo italiano ad illudere lo spettatore di trovarsi dinanzi ad un terzo episodio quando prende avvio quello che è conosciuto in patria semplicemente come “Rings” e che, ponendo nei panni della giovane Julia la Matilda Lutz vista nel mucciniano “L’estate addosso”, si propone in maniera evidente in qualità di reboot della saga. Reboot la cui neo-protagonista si ritrova ad indagare sui raccapriccianti retroscena riguardanti la Samara ora interpretata da Bonnie Morgan, dal momento in cui la diabolica videocassetta che pare lasci soltanto sette giorni di vita a coloro che la visionano comincia a suscitare un certo interesse nel fidanzato Holt, ovvero l’Alex Roe de “La quinta onda”. E, man mano che qualcuno, ovviamente, ci rimette le penne e che il veterano Vincent D’Onofrio fa la sua entrata in scena incarnando il sacerdote non vedente Burke, non si fatica ad avvertire l’impressione che, con ogni probabilità, delle tre concepite su suolo americano l’operazione in questione sia quella che maggiormente si avvicina alla “umida cupezza” trasudante dai prototipi orientali (dei quali, tra l’altro, ricordiamo anche il cross over “Sadako v Kayako”). Con la risultante di un elaborato forse leggermente più riuscito rispetto al mediocre numero due citato, ma che, pur offrendo una inedita versione dei fatti, non si rivela altro che l’ennesimo, banale miscuglio di spettri femminili dai lunghi capelli lisci e neri, sonoro utilizzato per generare balzi dalla poltrona e misteriose apparizioni che non riesce a regalare né sorprese, né, tanto meno, spaventi. La frase dal film:
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