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Puoi baciare lo sposoLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Giacomo Vitali23 febbraio 2018Voto: 7.0
In una Berlino internazionale, all’interno del quartiere gay della capitale tedesca, in un’atmosfera che potrebbe riecheggiare “Goodbye to Berlin” di Isherwood, si apre questa commedia brillante all’italiana.
I protagonisti, emigrati in Germania, non formano tuttavia un cenacolo di intellettuali, bensì una sorta di quartetto bizzarro e a tratti grottesco. Il gruppo colorito si appresta a partire alla volta di un paesino del Meridione su iniziativa di Antonio, giovane attore tirocinante omosessuale, che intende comunicare ai genitori di aver trovato finalmente il vero amore e di volersi sposare col collega napoletano Paolo. Il film tocca sin dall’incipit, estremamente delicato e romantico, la tematica della diversità ad ampio raggio, andando ben al di là della rappresentazione di una coppia omosessuale felice, con i suoi vizi e le sue virtù. Il regista infatti adotta un registro molto leggero e ironico senza scadere nella volgarità o in facili luoghi comuni. Ottima e funzionale alla riuscita dei dialoghi e delle interazioni tra i personaggi è la scelta della scenografia e della fotografia, originale ed efficace la caratterizzazione della famiglia di Antonio. I primi piani, molto ricorrenti nella prima parte del film, consentono agli attori, tutti abbastanza navigati, quando non esperti, di aprire un canale di comunicazione e di instaurare una certa complicità col pubblico in sala. Audace e in alcuni punti toccante l’interpretazione di Monica Guerritore, vera regina del film, seguita da un Diego Abatantuono in perfetta forma, capace di alternare battute mordaci a silenziosi momenti di attesa, imbarazzo o tensione. Lodevoli si dimostrano anche i due co-protagonisti, una coppia fresca e affiatata, reduci l’uno, Cristiano Caccamo, dall’esperienza in Rai, e l’altro, Salvatore Esposito, dalla serie tv Gomorra. La pellicola sembra purtroppo rimanere in sospensione, quasi in un incomprensibile limbo, nel colloquio fra Roberto, il padre dello sposo, e il frate del paese. Quest’ultimo, Antonio Catania, è ridotto pressoché ad una macchietta, nonostante il saio che porta e la prossimità ai due giovani che lo contraddistingue. Spadroneggiano invece l’eccentricissimo Dino Abbrescia e la rivelazione del mondo dello spettacolo, Diana del Bufalo, attrice dalla voce d’usignolo e dalla fortissima carica di humor, qui moderna musa della diversità umana. Teso a smontare e sfatare i pregiudizi e gli stereotipi su omosessualità e transessualità, si sviluppa come un percorso di crescita e di emancipazione tanto della coppia di sposi promessi, quanto della coppia di genitori, Anna e Roberto. Il messaggio è quanto mai attuale: non solo la carità cristiana e l’accoglienza del diverso devono essere praticati nel quotidiano, a partire dalla propria famiglia, ma è soltanto l’amore, quello autentico e senza vincoli di sorta, che nel finale potrà sventare il piano di sabotaggio del matrimonio e restituire serenità al simpatico quadretto di vita. La frase dal film:
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