Prey
Nel mare magno del cinema eco-vengeance, costituito da titoli incentrati su animali propensi a sterminare la razza umana, il cinghiale assassino che meglio ricordiamo è quello visto in "Razorback-Oltre l’urlo del demonio", primo lungometraggio diretto dal Russell Mulcahy di "Highlander-L’ultimo immortale" che, datato 1984, raccontava di un anziano cacciatore di canguri alla ricerca del pericoloso suino zannuto colpevole di avergli devastato la casa e portato via il nipotino.
Ad oltre venticinque anni da quella riuscita avventura in salsa horror su celluloide, è l’esordiente Antoine Blossier a rispolverare l’argomento con "Proie", ovvero "preda", che, internazionalmente conosciuto come "Prey", apre subito con l’impressionante ritrovamento di alcuni cervi morti, per poi tirare in ballo, senza perdere troppo tempo, gli esponenti maschili di una famiglia di proprietari terrieri e industriali impegnati a scovare un cinghiale di notevoli dimensioni.
Quindi, mentre "Lo squalo" di Steven Spielberg dedicava la sola seconda parte alla caccia al "mostro", Blossier – su sceneggiatura scritta insieme ad Erich Vogel – costruisce su essa l’intero lungometraggio, sostituendo l’ambientazione marittima con quella boschiva e favorendo, contemporaneamente, l’emersione psicologica dei diversi personaggi, tutti piuttosto antipatici.
E sono i toni cupi (a volte anche troppo) della fotografia di Pierre Aïm ad illuminare un veloce e tutt’altro che noioso racconto per immagini al cui interno, tra carcasse animali realizzate con professionalità e minacciosi grugniti, la presenza della pericolosa fauna risulta più avvertita che esplicitamente messa in luce.
Elemento, quest’ultimo, che testimonia più di ogni altro le non disprezzabili doti del neo-regista francese, in grado di coinvolgere efficacemente lo spettatore senza mostrare mai in tutta la sua fisicità la bestia (anzi, le bestie), al cui confronto l’essere umano, portato per una violenza molto più ragionata che istintiva, sembra in questo caso (e non solo in questo caso) addirittura peggio.
Non un prodotto particolarmente memorabile, ma la tensione non manca e gli ottanta minuti totali di visione si lasciano tranquillamente guardare.

La frase:
- "Credi che mia figlia ti perdonerà?"
- "No".

Francesco Lomuscio

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