Prisoners
E’ un titolo enigmatico "Prisoners". Un titolo che inizialmente fuorvia dalla trama. La prima cosa che verrebbe in mente da pensare è che abbiamo a che fare con dei criminali, o magari con dei carcerati. Ma guardando oltre il significato più ovvio, viene fuori la vera essenza di questo nuovo film di Denis Villenueve. Prigionieri, infatti, si può esserlo ogni giorno, per qualunque cosa, per mano di chiunque. E da questo spunto parte il thriller, che si apre con toni bui sulla vista di una tranquilla cittadina, dove si percepisce che il male è in agguato.
Keller Dover (Hugh Jackman) e la sua famiglia festeggiano il ringraziamento a casa dei vicini, i Birches. La tranquilla giornata viene però subito segnata dalla scomparsa di entrambe le figlie più piccole, viste giocare per l’ultima volta vicino ad un camper che ovviamente è scomparso. Iniziano così le ricerche per quella che sembra essere una storia senza un lieto fine. Il detective Loki (Jake Gyllenhaal) si troverà a seguire un caso che, tra piste sbagliate, indizi incompresi e duplici risvolti inaspettati, faticherà ad intraprendere la strada per la verità.
L’occhio indiscreto del regista canadese ha permesso la realizzazione di un thriller con risvolti quasi horror, crudo, forte e potente come il genere vuole, indirizzando le indagini su due linee: l’una quella ufficiale della polizia, l’altra quella morale, portata avanti dalle famiglie. Viene descritta nel film una società americana sconfitta e disillusa, senza fiducia nel prossimo e nella giustizia, senza più un credo da rispettare se non quello familiare, dove la coscienza risponde solo al giudizio dei propri cari.
La bravura di Villenueve, alla sua prima prova in lingua inglese, è stata aver utilizzato con criterio tutti gli elementi artistici del film. I dialoghi schietti, infatti, esplicitano il dolore e aumentano la compassione, specialmente nelle scene violente e brutali che ampliano la trepidazione. La scenografia scura inoltre, aiuta a coinvolgere lo spettatore nella tragica situazione che viene raccontata, insieme alle intense interpretazioni degli attori, che vengono analizzati psicologicamente nel profondo, tanto che alla fine della storia, ci si sente in dovere di chiedersi cosa avremmo fatto noi al loro posto. Tutti questi tasselli, come dicevamo, vengono messi insieme in maniera ottimale e fanno di "Prisoner" un bel film di genere, anche se le oltre due ore fanno perdere in parte la concentrazione.
La frase:
"E’ il sesto giorno che è sparita. Ed ogni giorno la mia piccola si chiederà perché non sono li con lei".
a cura di Valeria Vinzani
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