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Poker Generation











Al di là dell’Eros Galbiati visto nel dittico “Notte prima degli esami”, i volti più famosi coinvolti nel primo lungometraggio cinematografico diretto da Gianluca Mingotto sono sicuramente quelli di Francesco Pannofino e Lina Sastri; qui impegnati a concedere anima e corpo ai genitori dei due fratelli siciliani Andrea Montovoli e Piero Cardano, il primo fanatico dei film sulla malavita americana – con tanto di magliette e locandine della saga “Il padrino” da sfoggiare – che sogna di diventare un giocatore di poker professionista, il secondo genio introverso, la cui sindrome semi-autistica lo porta ad analizzare l’ambiente che lo circonda in modo ossessivo e meccanico. Fratelli che finiscono per ritrovarsi uniti proprio dinanzi al tavolo verde con l’intenzione di “guadagnare” i soldi necessari per pagare le cure della sorellina Naomi Assenza, nel corso di quasi cento minuti di visione che – ispirati alla vera storia del noto poker player tricolore Filippo Candio – vedono nelle vesti di produttore nientemeno che Fabrizio Crimi, Presidente della Gaming VC Corporation Spa. Del resto, lo scopo principale della pellicola, che non dimentica neppure di fornire allo spettatore le nozioni necessarie per consentirgli di poter effettuare una distinzione tra il poker nostrano e il Texas Holdem, poker texano, è quello di raccontare l’universo sociale ed economico di questo fenomeno trasformatosi in una vera e propria disciplina sportiva d’inizio terzo millennio. Ma, mentre provvede a ricordare che la vita è una partita e tira in ballo anche la valletta televisiva Emanuela Postacchini e la ex gieffina Francesca Fioretti, che si concede perfino una lap dance, lo fa lasciando emergere più di un difetto; a partire da una a lungo andare ammorbante voce narrante e da alcune situazioni che rischiano di sfiorare il ridicolo (citiamo il flashback con pestaggio di Pannofino). Anche se la pecca principale dell’insieme, i cui protagonisti, in generale, sfoderano una prova altalenante (Cardano funzionava meglio in “10 regole per fare innamorare”), va riconosciuta nell’incapacità di coinvolgere pienamente dall’inizio alla fine, tanto da non permettere di avvertire in maniera costante tensione e dramma. Sebbene Mingotto manifesti una non disprezzabile tecnica e un taglio registico dal sapore internazionale (da ritenere un pregio non da poco, considerato il provincialismo che caratterizza la maggior parte del cinema nostrano) che lasciano ben sperare per il suo futuro dietro la macchina da presa.

La frase:
"La vita è come una partita a poker, c'è chi sta sopra e chi sta sotto".

a cura di Francesco Lomuscio

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