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Piovono Mucche
(Alessandro Tiberi, Ultrà, Ascolta la canzone del vento), giovane obiettore di coscienza, capita nella comunità "Ismaele", situata nella periferia di Roma, per svolgere il servizio civile. Sarà, per lui, l'occasione per affrontare un altro tipo di realtà, quella dei paraplegici. Gli altri obiettori cercheranno di instradarlo con quel poco che hanno imparato durante il loro periodo di servizio, usando maniere poco ortodosse ma, fondamentalmente, piene di umanità. Matteo conoscerà anche Beatrice (Barbara Bonanni), giovane disabile, e con la quale avrà una breve storia d'amore. Una volta entrato nel meccanismo della comunità il ragazzo cercherà, insieme agli altri, di autogestire il gruppo combattendo contro l'ottusità di una direttrice tiranna, anch'essa paraplegica, e un vicepresidente troppo burocrate, fino a quando arriverà il giorno del congedo. Questa l'idea del film "Piovono Mucche" di Luca Vendruscolo (Vincitore del premio Solinas nel 1996), girato in super 16mm e poi gonfiato in 35mm (standard ormai utilizzato da quasi tutto il cinema indipendente italiano), ripresa dalla sua esperienza personale durante il servizio civile. Vendruscolo riesce a parlare delle persone handicappate con un rispetto inconsueto nel panorama cinematografico, di solito è un elemento che può stimolare, da parte di chi lo gira, un naturale senso per il patetico, il semi documentaristico facendosi prendere da un ragionevole sentimentalismo. Tutto questo in "Piovono Mucche" non c'è, il film è schietto, genuino, frizzante, non vuole tanto denunciare ma, più che altro, raccontare in maniera divertente un mondo che fatichiamo a fare nostro. Ricordando quei giorni, infatti, il regista dice "Tu non sai cosa vuol dire essere disabili, non potersi alzare la mattina da soli, etc., tutto questo in un anno, dai pazienti, non mi è stato mai detto, forse perché erano impegnati a risolvere altri problemi". Gli attori, a partire dal giovane Alessandro Tiberi (Matteo), sono tutti ben calibrati, attenti ai segnali delle persone che cercano di comunicare più di quanto non lo facciamo noi, che abbiamo tutti i "mezzi" necessari. Il regista, anche se alla sua prima esperienza cinematografica, riesce a far scivolare la macchina da presa in maniera quasi impercettibile, mai forzata, riuscendo ad inquadrare un contesto, quello degli obiettori, in maniera naturale, facendo respirare il racconto e, soprattutto, sottolineando la complicità che si crea fra di loro. Se non fosse per qualche escamotage di sceneggiatura e una soluzione un pò troppo macchiettistica attuata per alcuni personaggi il film sarebbe l'esordio più lucido di questa stagione del cinema italiano.
Marco Massaccesi
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