Pink Subaru
Film multiculturale per eccellenza, scritto da un arabo e un’italiana, diretto da un giovane filmaker giapponese che vive in Italia, prodotto da una famiglia giapponese anch’essa di stanza nel bel paese, girato in Palestina ed Israele e che ha per oggetto una Subaru, ora nera poi rosa, rubata al confine tra Israele e Palestina, e tutta una variegata umanità che la cerca per le brulle colline della terra promessa. Che si vuole di più da un’opera realizzata nel 2009, che solo ora viene distribuita anche in Italia, e che si propone di mostrarci la vita "normale" di un paese e due popoli in guerra da più di tre generazioni? Niente, considerando che Kazuya Ogawa, il giovane regista giapponese, nonostante sia alla sua opera prima, dimostra di avere le idee molto chiare in fatto di direzione.
Attento ai particolari e ai dettagli che fa diventare significanti nell’ambito della storia che racconta, imprime al film un tono fiabesco, a tratti ironico, e lo riempie di musica e allegria riprendendo i suoi personaggi sempre avendo ben impresso in mente i momenti più significativi che mano mano va a descrivere. Così, la macchina da presa si muove adeguandosi ai tratti psicologici dei personaggi, mettendo in mostra un nutrito carnet di soluzioni di ripresa senz’altro apprezzabili. Film corale nel quale si muove un cast molto ben assortito al centro del quale spicca la figura del protagonista Elzober e la sua ricerca della macchina perduta. Interpretato dall’attore arabo israeliano Akram Telate (attore di teatro molto apprezzato anche in Italia), autore anche della sceneggiatura assieme a Giuliana Mettini e lo stesso Ogawa, il personaggio di Elzober incarna perfettamente le molte anime di cui il suo popolo è la risultanza, rivelandosi ora intelligente e furbo, ora lamentoso e inoperoso, ora preda dell’ira o dello sconforto. Sfumature caratteriali che Akram Telate rende con sagacia e bravura.
Il film, dunque, scorre piacevolmente alternando momenti divertenti ad altri più concitati non abbandonando comunque mai la via della commedia esistenziale fino ad un finale le cui soluzione narrative avrebbero forse meritato una più approfondita lettura in sede di sceneggiatura. L’ultimo quarto d’ora, infatti, sembra un po’ meno curato del resto dell’opera, come se una certa fretta di concludere avesse consigliato, per l’appunto, soluzioni più semplici e meno articolate. Il finale comunque è a sorpresa e per certi versi sorprendentemente significativo. Un film che vi consiglio e che difficilmente vedrete nei circuiti tradizionali della distribuzione televisiva.
La frase:
"Qui si vive una vita ricca e piena".
a cura di Daniele Sesti
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