Piazza Giochi
Un po’ sulla scia del cult di Fernando Di Leo "Avere vent’anni" (1978), il secondo lungometraggio diretto dal giovane Marco Costa, a quattro anni da quel "Ma l’amore... sì" (2006) che firmò insieme a Tonino Zangardi, avrebbe dovuto inizialmente intitolarsi "Avere 16 anni", poi mutato a causa della romana piazza Giochi Delfici in cui ogni giorno si raduna la comitiva di amici protagonisti.
A partire dalla sedicenne Cassandra (Cecilia Albertini) che, figlia di un’ostetrica hippie finita in coma per un grave malore, si trova costretta a ricongiungersi con il padre naturale Luciano Coscarello (Luca Ward), "palazzinaro" che vive in uno dei quartieri più ricchi della capitale insieme alla sua nuova famiglia, della quale fa parte Aurora (Laura Adriani), coetanea sorellastra della ragazza.
Quindi, mentre la protagonista si ritrova coinvolta in un triangolo amoroso tra il cugino Nico (Andrea Montovoli), fidanzato di Aurora, e il suo migliore amico Romano (Lorenzo De Angelis), sono la scoperta del sesso, la ricerca dello sballo e, soprattutto, il difficile rapporto tra genitori e figli a dominare il film di Costa, che vede impegnati in piccoli ruoli anche il caratterista Remo Remotti, il Fabrizio Sabatucci de "Il punto rosso" (2006), il produttore Massimo Ferrero e Claudio Fragasso, regista di "Palermo Milano solo andata" (1995).
Un film che non dimentica neppure di citare verbalmente Federico Moccia, dal cui filone sembra anche riprendere alcune discutibili morali sulle quali è meglio sorvolare, e che sfoggia fin dai primi minuti di visione una recitazione piuttosto mediocre, al di là di qualche eccezione (per esempio, nel ruolo dell’amica Leopoldina, Nausica Benedetti funziona bene).
Ma anche un film che individua il suo maggiore pregio in una regia di taglio spesso internazionale, destinata ad essere penalizzata in parte dai troppi argomenti tirati in ballo all’interno di uno script non privo di strafalcioni, in parte dall’eccessivo ricorso a sequenze commentate da canzoncine orecchiabili... il più delle volte usate tutt’altro che male, però.

La frase: "La televisione è la scatola nera della società moderna, non puoi non averla".

Francesco Lomuscio

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