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Piazza delle cinque lune
Siena, ai nostri giorni. Rosario Saracini (Donald Sutherland - Una squillo per l'ispettore Klute, M.A.S.H.), festeggia l'ultimo giorno di lavoro come procuratore capo, e, mentre torna a casa, viene assalito da un losco figuro nell'androne della palazzina in cui vive. L'uomo gli dà uno strano pacchetto e scappa via. Una volta entrato nel suo appartamento Saracini scarta il regalo misterioso, scoprendo cosi un vecchio film girato in super 8 che mostra il sequestro di Aldo Moro a Via Cesare Fani il 16/3/1978. Per l'ex procuratore capo è l'occasione per lasciare qualcosa d'importante ai posteri prima di morire e, insieme al suo guardaspalle Branco (Giancarlo Giannini - Il Male Oscuro, Hannibal) e la sostituta Fernanda Doni (Stefania Rocca - Nirvana, Casomai), ricomincia ad indagare sul caso più importante d'Italia. La pista, a distanza di anni, è difficile da seguire ma Saracini, grazie alla sua tenacia, riesce a muoversi bene, anche se i corridoi del potere sono imprevedibili.
Questa l'operazione di Renzo Martinelli (Porzus, Vajont) intitolata "Piazza delle Cinque Lune" che, nella prima parte, si dedica alla ricostruzione fedele del sequestro in Via Cesare Fani, con tanto di flashback riproposti in bianco e nero con tanto di celluloide sgranata del Super 8. Mentre la seconda fase dà più spazio al percorso pieno di insidie che intraprende Sutherland nella sua inchiesta. Ma, con tutto il rispetto verso la famiglia Moro, l'intento di Martinelli è uno dei meno riusciti nella storia del cinema. Quei pochi che si sono documentati sul perché di quella strage attraverso libri sul caso, erano già riusciti a dare tutte le spiegazioni plausibili, la pellicola non aggiunge niente di interessante. Persino una puntata di un programma di Minoli sul secondo canale un mesetto fa era riuscita ad essere più approfondita ed appassionante. Lo stile narrativo di Martinelli non riesce a coinvolgere, non basta qualche dolly nei momenti cruciali, e un paio di trovate fatte con la computer grafica per alzare una tensione che non c'è. Alcune soluzioni visive ricordano persino un Dario Argento piuttosto datato. Ogni cosa, ogni piccolo ingranaggio è scontato, per non approfondire parlando di un finale che definire banale è quasi un complimento. Che dire di Donald Sutherland e Giancarlo Giannini? Fanno il loro lavoro, sono pagati per questo. Stefania Rocca, nel ruolo del sostituto magistrato, cerca, forse, di uscire dal quel ghetto che un certo tipo di cineasti italiani le ha disegnato apposta, ma, proprio per colpa del regista, non riesce neanche a convincere se stessa. Forse l'intento di Martinelli era quello di divulgare alle masse quella strana indagine piena di lacune, usando un mezzo come il cinema, alla portata di tutti. Solo che, per far restare seduti un paio d'ore gli spettatori, bisogna saperlo usare, il "Cinema". Un consiglio a quelli che, mentre sbirciano il giornale, scelgono a loro discapito di puntare il dito su questo film: portatevi appresso, nella sala, un mazzo di fiori. Non tanto per ricordare un uomo che, con la sua statura, avrebbe potuto rovesciare le sorti del nostro paese, ma, più che altro, perché se questo è il tipo di opere che dovrebbe gareggiare con le grandi produzioni americane, vuol dire che il nostro cinema è proprio defunto.
Marco Massaccesi
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