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Fear(s) of the dark
Con "La paura del buio" torna finalmente nelle sale un genere che non vedevamo più da parecchio tempo: il cinema d’animazione d’autore, da sempre relegato in posizioni minoritarie e di nicchia. Un film ad episodi a tema con due fili conduttori. Il primo è di carattere tematico, la paura, argomento che necessariamente condiziona anche lo stile: un bianco e nero costante con cui i vari artisti che si sono cimentati con questa condizione costante ed elementare della natura umana si sono dovuto confrontare. La paura del buio, cui si riferisce il titolo altro non è che il timore più ancestrale dell’uomo e che qui costituisce la fobia “par excellence”. Il film è articolato su quattro episodi. Nel primo un uomo timido subisce la rivincita di un insetto umanoide, nel secondo una bambina affronta una macchia scura del proprio passato, nel terzo un mostro senza nome terrorizza una tranquilla cittadina della provincia francese e nell’ultimo un uomo scopre di non essere da solo nella propria abitazione.
Quindi si tratta di paure molto diverse fra di loro, che però hanno un tratto che le accomuna: tutte le minacce provengono da una zona d’oscurità, una casa, una zona notturna, un abisso interiore. Si può rinvenire un analogia con il racconto breve di terrore ovviamente, e in termini più recenti a certi prodotti televisivi che a quella tradizione si riallacciano, come gli episodi della serie “Ai confini della realtà”.
In questo caso però grazie anche al mezzo usato le atmosfere sono dense e cupe, prive di vie d’uscita di qualunque genere. Interessanti gli intermezzi. In un caso troviamo una voce narrante che esprime le proprie angoscie esistenziali, manifestandole ritmicamente con macchie di colore. Non sono timori generici, ma le grottesche manifestazioni di terrore di una mente “liberal” che forse non può essere più fedele ai propri ideali. E se fossi razzista? E se fossi troppo uguale a quelli che mi circondano e vedessi in loro la mia stessa immagine distorta? Il secondo intermezzo è quasi una sorta di introduzione al racconto successivo. Un nobile aristocratico va a passeggio con quattro cani feroci, e di quando in quando ne lascia libero uno perché aggredisca qualche malcapitato con cui incrocia il cammino. Una vera e propria metafora dell’atto di raccontare storie spaventose, un gesto che in ogni momento può rilasciare una bestia assetata di terrore nel cuore di chi lo ascolta. Un’arma a doppio taglio che in maniera ugualmente facile può essere rivolta contro il narratore, pronto a diventare vittima dello stesso orrore di cui si è fatto incautamente portavoce. Un prodotto di interesse che non mancherà di trovare apprezzamento presso un pubblico di appassionati esigenti.
La frase: "Se un giorno fossi invitata a una cena di amici e mi trovassi un piatto di vermi brulicanti?".
Mauro Corso
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