Perduto amor
Franco Battiato, oltre che musicista e cantante di grande cultura e raffinatezza, difficile da incasellare nella musica pop italiana degli ultimi venti anni, si rivela anche un regista di tutto rispetto, come fosse una professione insita nel suo DNA.
Con la scusa di raccontare l'infanzia siciliana di Ettore, a metà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i rapporti con la madre (la sorprendente Donatella Finocchiaro), donna di grande fascino poco amata da un marito distratto e fedifrago e a seguire la sua adolescenza fino a giungere nella Milano del boom economico, per distaccarsi dall'adorata Sicilia e iniziare un percorso di conoscenza di se stesso e della sua vocazione di scrittore, in buona sostanza, Battiato ci parla delle cose che interessano l'artista-persona: il mare, la musica, la filosofia, gli studi esoterici, la religione in senso lato.

Senza tener conto di nessun nesso di consequenzialità temporale, il novello cineasta non dà spiegazioni di alcuni stacchi narrativi azzardati, né si preoccupa di trovare un finale che faccia da sponda alla storia che ha appena messo in scena, come se fosse in una condizione di sonno-veglia. Il mondo è magico e l'incantamento passa attraverso la cinepresa e i consigli del mentore, amico e consigliere Manlio Sgalambro, che, co-sceneggiatore dello script, si ritaglia anche il ruolo di voce narrante.

Inutile dire quando sia importante, in un'opera così insolita, il ruolo della colonna sonora; Battiato passa da Mozart a Bruno Lauzi con la consapevolezza che la contaminazione musicale è necessaria quando si vuole evitare un pedestre sottofondo da film "classico", sia essa imperiosa, petulante, straziata o divertita non importa, quando si è convinti che la stessa dignità poetica si trovi in una canzonetta pop o in un preludio di Bach (e non stupisce la dichiarazione di un probabile film futuro intessuto di assoluto...silenzio).

Vincenzo Mazzaccaro

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