Passannante
"Nella mia terra, in Basilicata, si dice che tutte le storie cominciano sempre con un patto".
Apre così il primo lungometraggio cinematografico diretto dal televisivo Sergio Colabona, i cui protagonisti sono un teatrante (Ulderico Pesce), un giornalista (Alberto Gimignani) e un musicista (Andrea Satta) che, testardi, idealisti e un po’ incoscienti, decidono di intraprendere una lunga battaglia per dare sepoltura ai resti di Giovanni Passannante (Fabio Troiano), giovane cuoco lucano che ferì in un attentato all’arma bianca il Re d’Italia, per poi essere condannato a morte, graziato e sbattuto a marcire in una segreta sotto il livello del mare, dove morì nel 1910.
E, con un cast comprendente anche il regista Francesco Maselli nei panni di un parlamentare e Roberto Citran in quelli di un avvocato, è attraverso una struttura narrativa tutt’altro che classica che si sguazza, tra presente e passato, in mezzo a ministeri, teatri e il Museo Criminologico di Roma, dove il cranio dell’uomo è stato esposto.
Infatti, si balza continuamente dal XIX al XXI secolo e viceversa, passando per l’era fascista e la fine del secondo millennio; mentre, già a partire dai primissimi minuti di visione, non sembrano affatto assenti venature d’ironia, sprigionata soprattutto dal personaggio di Pesce.
Eppure, si tratta di una forma d’ironia che pare non riuscire in alcun modo a strappare risate allo spettatore, il quale si trova dinanzi ad uno spettacolo il cui intento di proporre qualcosa di diverso è intuibile dalle diverse tipologie d’immagini sfruttate: da quelle classiche dei film in costume a momenti digitalmente ricreati (si pensi al racconto riguardante la vergine di Norimberga); senza dimenticare servizi del telegiornale riguardanti la ex famiglia reale dei Savoia.
Ma l’insieme, al di là delle ideologie che lo attraversano, con le quali si può o non può essere d’accordo, finisce per apparire soltanto schizofrenico e confusionario; e, di conseguenza, noioso.
Un vero peccato, perché, oltre al fatto che la prova degli attori sia tutt’altro che da buttare via, si nota una certa cura sia per quanto riguarda la fotografia che le scenografie.
La frase:
"Giovanni Passannante era stato sepolto vivo e da morto nessuno lo vuole seppellire".
a cura di Francesco Lomuscio
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