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Paranormal Activity 2
Con l’abitazione di una giovane coppia infestata da una misteriosa entità maligna, il soggetto su cui si costruì "Paranormal activity" di Oren Peli – costato circa 11000 dollari e trasformatosi in uno dei maggiori successi della stagione cinematografica 2009-2010 – non poteva fare a meno di ricordare quello che, nell’ormai lontano 1991, fu alla base del televisivo "La casa delle anime perdute" di Robert Mandel, incentrato su una famiglia tormentata da strani fenomeni nella sua nuova casa in Pennsylvania.
Basato su una storia vera, infatti, il film di Mandel non faceva facilmente ricorso ad effetti speciali e creature mostruose da fanta-horror, ma, proprio come "Paranormal activity", spaventava lo spettatore attraverso eventi rientranti in un quadro generale molto più realistico, a partire dagli oggetti misteriosamente spostati da un posto all’altro.
La differenza sostanziale tra i due prodotti era individuabile nel fatto che, mentre nel caso de "La casa delle anime perdute" rimanevamo nell’ambito di un classico racconto per immagini, in quello del film di Peli, un po’ come accadde a fine millennio scorso con "The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair", avevamo un’atipica scelta di narrazione che non faticava a conferire ai circa novanta minuti di visione il look di un falso documentario, tra soggettive della videocamera impugnata dal protagonista e riprese provenienti da quella fissa, installata dallo stesso per riprendere cosa accadeva mentre lui e la sua compagna dormivano.
Aspetto che, complice anche la diffusione della notizia che il distributore della pellicola Steven Spielberg ne sia rimasto terrorizzato, ha provveduto di sicuro a far ottenere al guardabile e a suo modo interessante esperimento il successo succitato, tanto da spingere la Paramount a metterne immediatamente in cantiere questo sequel, il cui script, però, a firma del televisivo Michael R. Perry, racconta in realtà fatti cronologicamente precedenti a quelli visti nel capostipite, dal quale viene recuperata l’attrice Katie Featherston.
Anche se i veri protagonisti della nuova vicenda sono alcuni suoi parenti, alle prese con gli stessi fenomeni paranormali che, in particolar modo, sembrano questa volta puntare il dito contro il piccolo Hunter.
Ma il regista Tod Williams, responsabile nel 2004 del drammatico "The door in the floor", pur avendo leggermente aumentato la dose di violenti attacchi da parte della malvagia presenza, tanto da porli già a prima parte appena sorpassata, sembra ridursi a ricalcare – senza originalità e fantasia – lo schema su cui venne strutturato il lungometraggio di Peli.
Quindi, nonostante il budget sia notevolmente aumentato (siamo sui 2750000 dollari), abbiamo di nuovo la lunga attesa generata dall’assemblaggio d’inquadrature fisse al cui interno lo spettatore aspetta soltanto le manifestazioni ultraterrene, per poi trovarsi ad avere a che fare in maniera quasi esclusiva con il consueto campionario di porte che si chiudono da sole e uso del sonoro volto a rafforzare l’effetto terrore.
E va bene che, parlando di cinema volgarmente definito "commerciale", l’utilità di un secondo capitolo sia principalmente – e giustamente – quella di aggiungere altri verdoni alle già colme tasche dei produttori, ma, quando siede in sala, il pubblico merita di certo di assistere a qualcosa che non si presenti quale riproposta del film visto qualche mese prima. Tanto più che è pagante.
La frase: "Non voglio più sentire queste cretinate della casa infestata, ok?".
Mirko Lomuscio
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