Pain & Gain - Muscoli e denaro
Il primo con cui facciamo conoscenza è il bodybuilder Daniel Lugo, il quale, con le fattezze del Mark Wahlberg di "Ted" (2012), non solo lavora in una palestra insieme all’amico Adrian Doorbal, ovvero l’Anthony Mackie di "Gangster squad" (2013), ma, intenzionato a cambiare la propria monotona vita, da sempre afflitta dalla povertà, decide di escogitare il rapimento del ricco uomo d’affari Viktor Kershaw, cui concede anima e corpo il Tony Shalhoub de "L’uomo che non c’era" (2001).
Rapimento che i due portano a termine supportati dal criminale Paul Doyle alias Dwayne Johnson, trovando anche il modo di accedere alle finanze del povero sventurato, nel corso di quasi due ore e dieci di visione ambientate a metà anni Novanta.
Perché, una volta tanto lontano da imponenti robot trasformabili e devastazioni metropolitane a suon di costosissimi effetti digitali, è da una vera storia raccontata dal giornalista investigativo Pete Collins all’interno di una serie di articoli scritti nel 1999 per il Miami New Times che il regista Michael Bay parte per inscenare sullo schermo quella che, a tutti gli effetti, possiamo definire una commedia d’azione abbondantemente condita di humour nero.
Una commedia d’azione che, nel coinvolgere anche la Rebel Wilson di "Voices" e il Ken Jeong di "Una notte da leoni" (2009), si concentra sul goffo trio maldestramente impegnato a cercare di uccidere il rapito; il quale, salvatosi in maniera miracolosa, assolda il detective Ed Du Bois alias Ed Harris, considerando i fallimentari tentativi di cattura del gruppetto di criminali attuati dal Dipartimento di Polizia di Miami.
Una commedia d’azione che, tra bellezze femminili mozzafiato, ampio sfoggio di bicipiti e imprevisti con oggettistica sexy per omosessuali, intende soltanto ricordare che le cose semplici sono quelle che contano veramente nella vita.
Peccato, però, che, pur riuscendo nell’impresa di regalare qualche situazione divertente, finisca per amalgamare il tutto tramite un ritmo narrativo talmente martellante che non solo rischia in maniera paradossale di rendere eccessivamente lento l’insieme, ma conferisce allo spettatore quasi l’impressione di assistere alla vicenda sotto l’effetto della cocaina che viene sniffata nel film.
Aspetto, quest’ultimo, che per alcuni potrà anche rappresentare un elemento positivo, ma che non può fare a meno di testimoniare che Bay, probabilmente, non sia ancora sufficientemente pronto per esplorare territori "leggeri" della celluloide basati più sulla risata che sull’alta spettacolarità.
La frase:
"Purtroppo, questa è una storia vera".
a cura di Francesco Lomuscio
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