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Ötzi e il mistero del tempoLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio30 ottobre 2018Voto: 6.5
Risalente ad un’epoca compresa tra il 3300 e il 3100 a.C. e conosciuto anche come mummia del Similaun o Uomo venuto dal ghiaccio, l’Ötzi del titolo – conservato nel Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano – è una delle mummie più importanti e famose del mondo.
Partendo da un soggetto a firma di Carlo Longo insieme a Manuela Cacciamani di One More Pictures, produttrice dei due horror “Fairy tale” e “Neverlake”, l’attore Gabriele Pignotta lo rende protagonista della sua seconda prova dietro la macchina da presa, dopo la gradevole commedia “Ti sposo ma non troppo”, ponendolo al centro di una fanta-avventura che, se non fosse per la presenza di automobili moderne e di Steve Jobs verbalmente citato, sembrerebbe tranquillamente uscita dalla Settima arte per ragazzi sfornata dalla Hollywood degli anni Ottanta. Del resto, a partire dalle biciclette – alcune perfino fornite di bandierina posteriormente collocata – su cui scorrazzano il sensibile undicenne Kip alias Diego Delpiano e i suoi due amici del cuore, è impossibile non pensare all’intramontabile classico donneriano “I Goonies”; tanto più che si definiscono “piccoli cacciatori di tesori” i preadolescenti in questione, destinati ad instaurare un determinato rapporto proprio con Ötzi dal momento in cui, andati al museo per salutarlo, lo vedono improvvisamente risvegliarsi e cominciare a rigenerarsi, rivelandosi, poi, capace di rallentare il tempo. Un rapporto che, tanto per rimanere nell’ambito del decennio cinematografico reaganiano, in un primo momento può richiamare alla memoria quello bambini-alieno raccontato da Steven Spielberg in “E.T. – L’extraterrestre”, apparendo, però, molto più facilmente accostabile al progressivo instaurarsi dell’amicizia tra i giovani componenti della Monster squad e il mostro di Frankenstein nel meno noto “Scuola di mostri”, diretto da Fred Dekker. Un rapporto che, tra fughe nei boschi e una Alessandra Mastronardi negli inediti panni di una bionda villain sopra le righe che pare venuta fuori da qualche cartoon giapponese (avete presente la Miss Dronio di “Yattaman”?), fa da perno a quella che è, in fin dei conti, una tutt’altro che noiosa storia di elaborazione del lutto genitoriale, con incluso Vinicio Marchioni nel ruolo di padre. Una storia tutta italiana ma che, per merito del fondamentale contributo dell’ottima fotografia di Tuomo Virtanen e delle efficaci musiche – anch’esse, a quanto pare, debitrici nei confronti del già menzionato “I Goonies” – a cura di Stefano Switala, sfoggia una confezione generale di taglio decisamente internazionale. Un aspetto che rende la circa ora e mezza di gradevole visione molto più riuscita di analoghi esperimenti tricolori di genere fantastico d’inizio terzo millennio (ricordiamo soltanto il ridicolo “Grotto” di Micol Pallucca); evitandole da un lato il look proto-soap opera in stile “Fantaghirò”, dall’altro – grazie anche al sapientemente miscelato utilizzo degli effetti visivi – quello del tipico blockbuster made in USA fagocitato dal tripudio di CGI. Non a caso, ha vinto nella sezione Elemets +6 presso l’edizione 2018 del Giffoni Film Festival. La frase dal film:
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