“Captain Harlock” non è un film per bambini, come in fondo per bambini non sono mai state neppure le opere originali (manga, anime e lungometraggi) al cui universo esso appartiene. Perciò, pena capricci e sbadigli durante la visione, non portateceli. In verità, “Captain Harlock” non è neppure un film accessibile a tutto il pubblico adulto, e lo dico senza la benché minima intenzione di offendere alcuno. Semplicemente, la pellicola è talmente farcita di simbolismi che affondano le loro radici nella cultura nipponica che, non cogliendone anche solo la metà, se ne perderebbe gran parte dell’essenza. Inoltre, al di là di battaglie e colpi di scena, il film è sostanzialmente lento e rischia di annoiare chi non è abituato a questo genere di opere. Ciò premesso, il film non è un capolavoro se non per la grafica, davvero strepitosa, ma è di sicuro un bel film accompagnato da un dignitosissima colonna sonora. Sempre profondo e a tratti difficile, cupo nonostante la speranza che lo percorre dall’inizio alla fine, privo di siparietti che possano in qualche modo fare da contraltare alla drammaticità dei temi trattati, coerente con l’incoerenza di fondo delle opere di Matsumoto dove Harlock è più un mito che un uomo, che ogni volta nasce, muore e rinasce sempre uguale e sempre diverso. Harlock non è l’eroe buono senza macchia e senza peccato, non lo è mai stato, e mi auguro che nessuno accusi la pellicola di stravolgerne la figura, perché allora di Harlock non avrebbe proprio capito niente. Harlock è ciascuno di noi, con la nostra forza, le nostre speranze, le nostre paure, le nostre colpe. Harlock siamo noi e il fiore che gli strappa l’unica lacrima è la vita che si rinnova senza tregua nonostante noi. Se volete trascorrere una serata leggera non andate a vederlo. Si poteva fare di meglio? Sicuramente sì. Gli ordini impartiti alle truppe e pieni di tecnicismi eccessivi, ripetuti ad oltranza come da tradizione nipponica e spesso inspiegabilmente lasciati in inglese, dopo un po’ stancano; la “resistenza” dell’Arcadia fa un po’ sorridere anche ai più navigati lupi di mare di questo universo fatto di bandire che sventolano nel vuoto e di mantelli antigravità; la storia è complessa anche se mai banale, e una distrazione costa caro. Domandina finale con sorrisetto incorporato: ma con una Mimay vestita così c’è ancora qualcuno che crede che tutte le infinite volte in cui il nostro fascinoso capitano si è chiuso insieme a lei nella propria cabina i due si siano limitati a bere vino intonando duetti di arpa ed ocarina?