La regista di questo film è una fotografa che è andata in India, a Calcutta, per documentare la vita delle prostitute. Ma, appena è arrivata lì, si è resa conto dell'enorme quantità di bambini e bambine, più o meno costretti a restare dentro al giro, presenti nel quartiere a luci rosse. Più che le prostitute, abbastanza indifferenti, se non ostili, a flash e obiettivi, proprio i loro figli si interessano alla nuova arrivata, incuriositi dai vari apparecchi strani. Lei, a sua volta meravigliata e affascinata, crea per loro un vero corso di fotografia. E i bambini iniziano a scattare, ad esprimersi con sincerità, a raccontare a modo loro tutto quello che non avevano mai avuto modo di raccontare, la loro vita, la famiglia, i rapporti con gli altri, la loro città, le persone che vivono attorno. È così che "zia Zana" entra nel mondo dei bambini, trattandoli da adulti, rispettando la loro piena dignità, ed evitando qualsiasi retorica da "bambini che fanno oh", con una limpidezza di stile che ricorda il Truffaut de "Gli anni in tasca".
Il suo è un viaggio. Innanzitutto in un inferno, quello della società indiana più povera, degli ultimi ai quali non è concesso nemmeno avere il passaporto o andare a scuola. Un mondo chiuso in se stesso, segreto, tenuto al di fuori della realtà e che invece è il più tristemente reale di tutti. E in questo mondo buio "zia Zana" resta lei stessa folgorata, e si lascia folgorare, dalla luce potente dei bambini e della loro vita, che anche nell'oppressione, anche nell'esistenza più infelice, riesce a trovare il gioco, lo scherzo, la spontaneità. È difficile parlare di bambini, si cade sempre nel banale, nel già detto, nel riduttivo. È sempre meglio lasciar parlare loro. E la Briski lo fa, lasciando che loro stessi ci presentino il loro mondo di colori ed errori, ci facciano da guida nel viaggio nei giochi d'infanzia del loro animo. Bellissime le fotografie. Premio Oscar come Migliore Documentario.
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