Bisogna anche, evidentemente, dire cose banali...ma ci si rende conto, prima di parlare di questo film, che si tratta di un'opera del 1929, scritta oltre che da Bunuel anche da Dalì, che già soltanto la genialità di espandere al cinema l'esperienza del surrealismo (un'esperienza viva, concreta, per niente "astrusa", astruse sono ben altre cose della vita e dell'arte) lo fa entrare di diritto nella storia del cinema, che fare film non è soltanto farsi due lacrimucce con l'ultima tomhanksata, che qui si discute di qualcosa che per il cinema ha la stessa importanza che il periodo cubista ha per la pittura del Novecento (ah, già, ma Picasso era un altro strano, uno "che non sapeva disegnare", come mi è capitato di sentir dire, e beata ignoranza di chi non ha mai visto gli splendidi quadri figurativi che il genio precoce realizzava a tredici-quattordici anni)?
Terrificante e offensivo per l'epoca, come da definizione del surrealismo è "un automatismo psichico inconscio capace di restituire alla mente la sua reale funzione, fuori di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, dalla morale o dalla estetica". Non ci sono cani, effettivamente: il titolo, suggerito da Dalì, deriva da una raccolta di poesie scritte dallo stesso Bunuel.
Impossibile comunque dare un voto al film, come giustamente dice Jv.
Ah, volevo informare l'arguto recensore che per ripetere le solite banalità sull'intellettualismo va a tirare fuori proprio una poesia semplice come quella di Ungaretti, che tutti, ma davvero tutti, capiscono e verso la quale tutti provano emozione (suvvia, era meglio Tristan Tzara, no?) di un piccolo particolare: il cortometraggio, all'epoca, colpì molto il pubblico, e il film restò in programma a Parigi per molte settimane. Quanti parigini in malafede, che giocavano a fare gli intellettuali e non apprezzavano Corbucci o De Sica, in quel lontano 1929!
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