e meno male! Il testamento di Klaus Kinski dovrà restare unico e consegnato ai posteri in tutta la sua (in)sana potenza. Anno 1987. Dopo il successo senza precedenti dell'Amadeus Mozart di Formann è il turno di questo grottesco Paganini. La (sublime) follia dell'attore è qui portata agli estremi dietro la macchina da presa. Memore delle esperienze herzoghiane il regista Kinski si adegua all'attore e come qualche acuto critico ebbe a dire: dirige un . Credendosi ancora Nosferatu: banchetta a formaggio e vermi (!!!) e si aggira nei tetri (?) palazzi genovesi con candelabri in mano. Interminabili ralentì (in Piazza San Marco lo vediamo avanzare alla moviola per 10 minuti e più) scemenze dialogighe di rara potenza ("suonando, il membro di Paganini diventava eretto"), insistenze ingiustificate della macchina da presa (dove andranno mai tutte le carrozze che si vedono nel film?) sequenze al limite dell'hard... Il folle autore presta la propria voce al musicista genovese (rivolgendosi in "perfetto" italiano ottocentesco al figliolo: "vedi, il violino è come un cuscioloto") e si cimenta quindi in una serie di arditi incontri sessuali (raccontati come stupri graditi alle concupite) dividendosi un ruolo fatto di amor filiale e sesso animalesco. Tra le attrici impegnate troviamo: Dalila di Lazzaro, la sempre generosa Eva Grimaldi, una giovanissima Debora Caprioglio al debutto e udite-udite: Donatella Rettore! Sì, miss "splendido splendente". Uno dei capolavori trash della storia del cinema, accanto ai "must" del regista Ed Wood e al pecoreccio Bambola di Bigas Luna. Che ci faccia poi lo Stradivari di Salvatore Accardo in questa galera è un mistero. Per chiudere la recensione mi affido alle parole di Kinski-Paganini, rivolto alla piccola folla assiepata durante un'improvvisata esibizione per strada: Lapidario.