E' stato sorprendente per me questo film iraniano, con spaccati di vita familiare inattesi e fuori da ogni nostro (o mio) cliche' sul mondo islamico: donna-chador-sudditanza assoluta..
Questa famiglia vive in un mondo assolutamente parallelo al nostro, con gli stessi problemi, l'assistenza all'anziano non autosufficiente, il rapporto d'amore con la figlai che giudica,(e di cui non sapremo mai il verdetto finale...) la coppia che si sgretola e si stacca nonostante il "nucleo" sia sano e forte.
Bellissimo trovo, specie se inserito nel contesto di una societa' maschilista, il rapporto tra padre e figlia, responsabile ed onesto, in cui il padre si impegna per fare di lei una persona coraggiosa ( bella la scena del benzinaio) e si lascia mettere le spalle al muro dalla intransigenza etica della bambina, erigendola a giudice: (se tu mi chiedi di denunciarmi, di dire la verita', io lo faro')
Ci lascia in sospeso il finale. Cosa architettera' la ragazzina per ricomporre la sua famiglia? Perche' questo e' cio' che lei vuole, e che speriamo anche noi... Bel film.
film stupendo.Film iraniano vincitrice quest'anno dell'Oscar e del David Di Donatello come miglior film straniero,per non parlare di altri riconoscimenti a livello internazionale... E' la storia di una coppia in crisi decisa a divorziare. Siamo in Iran,quindi in un contesto cui la libertà è limitata e la possibilità di scegliere indipendentemente dal marito è quasi nulla. Samin vuole lasciare Teharan con il marito e la figlia, ma Nader si rifiuta perchè costretto a curare un padre malato d'Alzeimer e quindi bisognoso continuo di attenzioni. La moglie può andare ma la figlia deve restare con lui. La donna va così a vivere a casa dei genitori e perciò è necessaria una persona che badi al malato mentre Nader è al lavoro. L'incarico viene affidato ad una donna incinta e molto religiosa, che accetta il lavoro senza aver prima consultato il marito,che secondo la tradizione è obbligatoria. A seguito di una vivace discussione con Nader la donna perde il bambino. E' l'inizio di una serie di denunce, bugie e confronti...Un film,perfettamente narrato,che dà voce ai conflitti interiori di donne costrette a sottomettersi al volere dell'uomo. Ma il regista tratta temi scomodi quasi nascondendoli dietro la storia di questo piccolo microcosmo famigliare. Non vuole essere troppo esplicito ed incisivo...anche perchè consapevole della sorte riservata a chi in Iran la pensa diversamente. Ma lo spettatore ci arriva comunque. Sono curioso di vedere Circumstance...film che parla di due ragazze iraniane che si amano ma non riescono a vivere il loro sentimento a causa dell'ambiente in cui vivono. Pensate solo che la regista ha girato il film in Libano. Penso anche ci siano state ripercussioni su di lei e sulle attrici protagoniste.
Sono felice di non essermi lasciato vincere dal pregiudizio che i primi scatti di Una Separazione (capi femminili nascosti doverosamente da veli, l'ostico di un popolo apparentemente astruso per la grandezza delle differenze religiose, sociali, consuetudinarie.)ha lasciato affiorare.
Avrei perduto l'occasione di vedere un film a dir poco grandioso.
Per tutta la sua durata, pervaso di un senso di imminente fatalismo, ho avuto la percezione fissa di captare, senza riuscire a definirli con nettezza, i riverberi di una sorta di messaggi filosofici che, trascendendo i destini dei realisticissimi personaggi dietro la quale abilmente sono mascherati, si rivolgono all'intera umanità. Un sorprendente gioco di verità e menzogna inneggiato dagli ambigui litiganti, ricchi di sfumature, e l'idea fissa che il film alla fine mi ha lasciato, sorta di accusa o semplice proclama: siamo tutti colpevoli.
L'ultima fatica di Asghar Farhadi è una storia ambientata in Iran, ma soprattutto ci mette dinanzi a una serie di contraddizioni e problemi definibili come universali. Per la cura attenta ai singoli individui e ai “fondamentali” di qualsiasi essere umano, non si discosta dal modo di narrare del regista, ma prende in esame uno spaccato di società inusuale per lui: la agiata classe medio-borghese. Questa nel modo di vivere, abitare, comunicare,non appare molto diversa dalla nostra, eppure via via sfumature, zone d’ombra, contrasti tra ceti diversi, tra religione tradizionale ed esigenze di vivere più liberamente, insieme ad accorte metafore (per non allarmare la censura), ci forniscono un quadro ancora più complesso di quella società. Per rendere tale complessità, Farhadi si serve di vari elementi di linguaggio, usandoli in maniera da intersecarsi gli uni con gli altri. Il ritmo è spesso incalzante, quasi da thriller, con piccoli colpi di scena (vedi vicende in tribunale). In altre sequenze la macchina a mano entra nelle case e quasi ne fruga gli angoli, facendo intravedere la realtà che c’è dietro le porte socchiuse, simbolo della situazione politica, sottintesa senza che se ne parli. In altri momenti ancora il movimento della cinepresa è fluido e la fotografia si fa più moderna e lineare. Insomma sia la grammatica che i contenuti del film, esprimono l’impegno nell’analizzare a fondo ragioni e torti, emozioni e furberie, onestà e tentazioni disoneste dei vari personaggi. Tra di essi, tutti interpretati ottimamente e tali da attirare comunque simpatia, vorrei ricordare i due più indifesi. Mi riferisco alla figlia undicenne della coppia di separati con lo sguardo profondo e severo puntato sulla realtà, che giudica in silenzio ma con una forte richiesta etica ai genitori che ha scoperto fallibili. C’è poi la figlia piccolina dell’altra donna al centro del racconto nel ruolo della badante. La bimba, che sembra uscita dalla mano di un fumettista di classe per le sue fattezze ed espressioni, pronta a passare dalla curiosità tutta infantile allo smarrimento, è lì con i suoi occhi tondi e il visino somigliante a un punto interrogativo. Brunissima, spesso contornata dal suo foulard bianco e dalla veste rosa, rimane nella memoria più di un qualsiasi dialogo per quella interpretazione muta. Ma veniamo alla trama coinvolgente fin dalle prime scene. Una coppia, Simin la donna e Nader il marito, sta davanti al giudice per separarsi legalmente. La moglie vuole espatriare con i suoi per non vivere più “nelle circostanze di quel paese”, lui non si decide a partire per non abbandonare a se stesso un padre vecchio e malato di Alzheimer. L’altro personaggio femminile importante è Razieh. Proviene dal proletariato, è incinta ma non lo dice e lavora a casa di Nader come badante, di nascosto di un marito tradizionalista e religioso. Da questo punto in poi la storia delle due coppie si intreccia e fa nascere