Il film, che per l'argomento trattato potrebbe sembrare pesante, scorre piacevolmente. Molto curato e storia ben costruita, ottima colonna sonora. Molto bravi gli attori ma Toni Servillo è veramente una spanna sopra gli altri regalandoci l'ennesima straordinaria interpretazione. Uno dei migliori in circolazione.
Il film è senza dubbio riuscito ma secondo la mia opinione poteva rendere di più. Un cast pieno di attori eccezionali. Ci sono momenti che mi sono chiesto perchè non ha approfondito meglio la storia?
A chi ha fatto bene il film? Agli investitori? Non credo !
Marco Zambrini , Lecce
I richiami al crac Parmalat sono smaccati ed evidenti, l’ispirazione di fondo c’è ed è innegabile. Eppur, "Il gioiellino" è molto di più che semplice aderenza alla nostra storia recente, molto più che ricostruzione “d’epoca” passivamente appiattita sulla cronaca d’archivio, ricalcata per pigrizia sulla mera e fredda ricostruzione dei fatti. Ibrido suggestivo tra Wall Street e il nostro cinema civile, l’opera seconda di Molaioli ha ambizioni e portata ben più ampie della storia d’ordinaria follia (amministrativa) che racconta, come dimostrano le taglienti didascalie finali. Ha respiro internazionale, è un attacco implicito al capitalismo senza offendere (ufficialmente) nessuno, un’analisi lucida e ispirata dei sistemi economici e degli uomini piccoli piccoli che maneggiano loschi capitali erranti ed evanescenti. Il film ha ritmo invidiabile, un’estetica asettica ma vibrante, resa dalla fotografia del come sempre ottimo Bigazzi e cullata sulle musiche di Teardo, che ricorre a due temi fondamentali: l’uno, elettro-rock e formicolante, fa da contrappunto drammatico alle scene emotivamente più veementi, l’altro invece, concentrato quasi tutto nella prima parte, è contraddinsto dal recupero di brani pop che confluiscono nella riproposizione filologica e irreprensibile (anche scenograficamente) dei primi anni ‘90. La vera forza del film è pero la scrittura: Molaioli e i co-sceneggiatori Rampoldi e Romagnoli riescono nell’obiettivo non facile di armonizzare in unico script elementi storici, politici, (cripto)economici, con una naturalezza e una grazia intellettuale fuori dall’ordinario, senza scantonare mai nel pamphlet gonfio di retorica (Wall Street nella patina esterna, cinema civile nostrano nei contenuti, appunto). Pur non essendoci sostanziali sussulti di regia, se non nell’uso umorale delle luci, dei ticchettii vari e delle musiche, il film cattura e inchioda ugualmente lo spettatore immergendolo nelle acque torbide e gelide di una storia che è vera solo di riflesso. Anziché deprimerci oltremodo per le gesta criminali di Calisto Tanzi e Fausto Tonna, i volti veri della cronaca dietro le magistrali maschere fittizie di Girone e Servillo (il loro è un mimetismo anzitutto psicologico), siamo catturati dalla spigliatezza dei dialoghi accuratissimi, ben congegnati quando non puramente gustosi: ci sono frasi ed intuizioni così ispirate e prodigiose che si reprime a stento la voglia di segnarsele (“La Russia è come il paradiso: è difficile entrare ma impossibile uscire”), si sprecano i funerei e gelidi richiami attualizzanti, mai esplicitati ma sempre e comunque lapalissiani (capitali offshore, escort dell’est, premier barzellettieri). Perfino la religiosità diventa un contrappunto ironico e grottesco, adocchiando, qui sì, i tempi e i modi di molto cinema di Oliver Stone. Gli interni aziendali devastati e squarciati del finale sono la fotografia più livida e luttuosa dei giorni che stiamo vivendo. Molaioli, senza alzare troppo la voce, ha fatto centro.