Film duro, poetico e di denuncia, senza colonna sonora.
I due registi raccontano il percorso di redenzione di Bruno in un ambiente che potrebbe essere lo sfondo di un teatro o la periferia di una qualsiasi grande città.
In ogni città c’è l’emarginazione ed i suoi non - luoghi di “scambio”: il bar, il ponte, la strada, il box dove alligna la miseria, la piccola delinquenza, il ricatto e tutti usano mezzi vecchi, come la lezione data a Bruno a base di calci e pugni. In altri termini un territorio o una terra di nessuno, fuori da ogni controllo, tranne che dagli onnipresenti telefonini.
Sembrano ingredienti di una polvere esplosiva che mina le nostre città, nel momento in cui famiglia, scuola, assistenza sociale ed ospedali costituiscono i punti di riferimento necessari per queste persone, ma se questi venissero meno? Quale che ne sia il motivo, pochi soldi per il pubblico, o soldi spesi male o semplicemente disagio di troppe persone, come si potrebbe giustificare questa “assenza” e chi e come si potrebbe supplire ad essa?
La esplosione di questo disagio può assumere le dimensioni che ha assunto a Parigi, con violenze estreme ed esterne contro la società “ricca”, o interiori, ma altrettanto estreme, contro se stessi e contro le persone che si amano, come in questo bel film.
Senza alcun compiacimento o giustificazione dei comportamenti del ragazzo, i registi ci fanno passare un messaggio molto positivo, che se c’è del buono in noi questo può sempre essere recuperato pagando il “prezzo” alla società. In questo caso il prezzo è molto alto ed è il carcere, ma la conclusione è felice perché consente ai due protagonisti di ritrovarsi attorno alla loro storia d’amore.
Ma in quanti altri casi simili e reali si potrebbe verificare altrettanto?
Confesso che dopo la prima mezz'ora mi veniva da andarmene: dialoghi ridotti all'essenziale, insistite scene su vicende insignificanti, personaggi poco interessanti, lo squallido paesaggio urbano in cui la storia si svolge. Poi si capisce che tutto questo è funzionale e preparatorio alla seconda parte del film, quella in cui Bruno 'vende' suo figlio neonato a un'organizzazione dedita alle adozioni illegali. Lo vende come venderebbe un qualunque oggetto rubato in giro; ed è bello che un personaggio così cinico, squallido e privo di riferimenti concluda il film con un pianto dirotto insieme alla sua compagna Sonia. Un un messaggio di speranza.
Il film che girerebbe oggi Rossellini. I canoni del neorealismo ci sono tutti: storia "dura" di vita, personaggi che cozzano contro il Fato rappresentato dalla ineluttabile realtà di tutti i giorni, l'assenza di una vera speranza e di una vera consolazione nel finale. Straordinaria la figura del protagonista, un uomo del tutto sfasato rispetto al contesto in cui vive, talmente estraneo all'idea stessa di paternità da considerare il figlio un bene di scambio al pari di una macchina fotografica o di una collana. Tutto il film è in realtà un viaggio all'interno del vuoto desolante della personalità di Bruno, un "idiota" che lo spettatore può solo compatire, ma che al tempo stesso la sceneggiatura riesce a trasformare in un grande pesonaggio tragico. Una meritatissima Palma D'Oro per uno dei più grandi film degli ultimi anni.
Bel film, molto semplice, diretto, essenziale. Il tema trattato (il disagio giovanile negli strati più bassi del tessuto sociale francese odierno) lo rende un attimo "fastidioso" ma senza esagerare in scene truci o strappalacrime. Al contrario, il tutto rimane sempre incanalato lungo un efficace binario di concreto realismo che conduce ad un finale tanto verosimile quanto inevitabile. Buono.
uno schifo, non ho apprezzato nulla in questo film.
i personaggi non sono male...
la storia onestamente si poteva girare in 20 minuti di film...forse un corto sarebbe stato più apprezzato.
fondamentalmente credo di odiare il neorealismo. pultroppo me ne son ricordato solo quando il film era già iniziato.
spero di non aver offeso nessuno, ma la rabbia per aver speso 7 euro per un film del genere è ancora viva.