Si gioca sul filo sottile tra commedia e dramma, che non vuol essere tale, questa crisi di un quasi trentenne argentino di provenienza polacca e origine ebraica, che non si sente di nessuna parte ed aspira a una sua identità, più discreto nei toni ma nella falsa riga de "L'ultimo bacio" di Muccino e delle altre ricerche identitarie legate all'opera di giovani registi italiani. La specificità del film sta anche in altri due aspetti: 1. l'accento posto sulla mancanza fisica e psicologica dell'autorità e dell'effetto paterno (l'abbraccio perduto è infatti quello del padre), 2. l'aver ambientato il tutto in un luogo particolare, una piccola galleria commerciale animata da personaggi secondari molto ben ritagliati. La maggior parte di loro ruota comunque attorno ad Ariel, il protagonista; la madre gestisce lì un mini-negozio di intimo femminile, il fratello compra e "tenta"di vendere gli oggetti più strani, l'amico più caro trascina nel negozietto le sue amanti straniere, lo spazio-computer della galleria è gestito da una biondina che si dà ad Ariel ma non può fornirgli la sicurezza affettiva di cui ha bisogno. Ariel si muove in questo gruppo con trasognata leggerezza, indagando continuamente per ricostruire la figura di questo amato-odiato genitore e inseguendo il sogno di trasferirsi in Polonia, dove pensa di poter colmare la sua fondamentale incertezza esistenziale. Ma un abbraccio perduto può essere in qualche modo ritrovato e così accadrà a lui nel momento in cui la storia svolta con un coup de theatre, che è meglio non rivelare. Nei panni di Ariel si è calato Daniel Hendler con una interpretazione credibilissima che gli ha valso il premio per la migliore interpretazione maschile al festival di Berlino. Indovinatissimi gli altri attori e soprattutto la madre, un po' simile alle mamme ebraiche immortalate da Woody Allen. Il regista Daniel Burman, appartenente a una specie di nouvelle vague argentina, è anche lui Orso d'Argento a Berlino 2004 ed è anche autore del soggetto; come tecnica sceglie riprese saltellanti con la camera a mano, tallonando da vicino i personaggi e si affida a dialoghi duettati tra gli attori con battute minimaliste ma efficaci, piacevoli anche quando sfiorano la commozione. Un film semplice ma accattivante, eseguito con un linguaggio da cinema volutamente "adolescente", quasi a sottolineare l'immaturità psicologica di Ariel. Di non riuscito solo alcuni brani in cui il ritmo rallenta e la sceneggiatura si fa più debole. Nel complesso una gradita sorpresa e forse un congedo... visto che siamo alle soglie dell'estate e la stagione cinematografica batterà per qualche mese la fiacca.