Ong Bak 2 - La nascita del dragone
Firmato nel 2003 da Prachy Pinkaew, il movimentato "Ong-Bak-Nato per combattere" ci portò a conoscenza dell’agilissimo thailandese Tony Jaa, impegnato a scovare coloro che avevano rubato la testa di un’antica statua di Budda e rivisto due anni dopo nel simile "The protector - La legge del Muay Thay", diretto dallo stesso regista e nato con il titolo "Ong-Bak 2".
Ma, con Jaa postosi sia davanti che dietro alla macchina da presa, affiancato dal Panna Rittikrai già suo regista in diverse occasioni, eccolo qua il vero "Ong-Bak 2", che si lega alla pellicola precedente, però, soltanto a causa della presenza dell’attore-atleta.
Questa volta, introdotta da un suggestivo prologo che si svolge nel corso di un temporale, abbiamo una vicenda ambientata nella Thailandia del XV secolo, dove Tien (Jaa, appunto), allevato dal capo dei banditi della Scogliera dell’Ala di Garuda, parte alla ricerca degli assassini dei suoi genitori, uccisi durante un ammutinamento quando era bambino.
E, ovviamente, tra un combattimento in acqua contro un coccodrillo e imprese che vedono coinvolti gli immancabili elefanti, l’esile script non rappresenta altro che il pretesto per mostrare sempre in azione il protagonista, qui intento a portarci a conoscenza del Natayuth (da nata=danza e yuth=combattimento), che fonde tutti gli stili di arti marziali.
Infatti, in mezzo a flashback e duelli con le spade, non mancano neppure i ninja e il kung fu cinese all’interno dei circa 95 minuti di visione senza tregua che, decisamente più curati – sia per quanto riguarda il lato tecnico che quello scenografico – rispetto al guardabile capostipite, se da una parte non faticano a richiamare alla memoria il cinema orientale degli anni Settanta, dall’altra non dimenticano di tirare in ballo elementi fantastici cari a diversi Hong Kong movies dell’ultimo ventennio.
Del resto, quando non immerge le immagini in efficaci dominanti giallognole, è a cupi toni sfioranti l’horror che fa ricorso la bella fotografia di Nattawut Kittikhun, la quale ci accompagna dall’inizio al finale, lasciato appositamente aperto per il terzo capitolo.

La frase: "C’è una luce nei suoi occhi, quando combatte, che mi ricorda qualcuno".

Francesco Lomuscio

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