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Once Upon a Time Proletarian: 12 Tales of a Country
Dodici storie di gente comune per raccontare di un popolo, della sua cultura, dei sogni infranti e delle aspettative future. Questo il film "Once Upon a Time Proletarian: 12 Tales of a Country" diretto dalla regista cinese Xiaolu Guo, e presentato alla 66ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, dedicata alle nuove tendenze cinematografiche.
Il documentario è organizzato in dodici interviste a gente comune, dodici episodi in cui un vecchio contadino, dei pescivendoli, un lavamacchine e altri esponenti delle classi sociali cinesi raccontano della loro vita, di quello che sono e ciò che sentono. Denunciando un malessere generale e un disaccordo con il governo odierno, molti rimpiangono l’epoca di Mao, altri mostrano disillusione e insoddisfazione dopo aver lasciato i piccoli villaggi nelle campagne in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni nelle grandi città dove non hanno trovato quello che cercavano.
Quasi a voler accentuare la disparità generazionale, la regista cinese, apre il documentario con la storia di un vecchio contadino, che risente negativamente dei cambiamenti socio-economici degli ultimi decenni, chiudendolo con le chiacchiere dei giovani alunni di una classe d’arte. Dal primo episodio all’ultimo si nota un malessere che cala col diminuire dell’età, e le testimonianze raccolte dimostrano un occhio al futuro espresso dalle generazioni più giovani, ancora profondamente legate ai vecchi valori, ma curiosi verso tutto ciò che è diverso e nuovo.
Ogni passaggio è introdotto da un gruppo di bambini allegri e sorridenti che fanno a gara per raccontare le vignette satiriche sul mondo del lavoro che leggono da un libro. Questi intermezzi girati in bianco e nero, si scostano dai racconti degli adulti, invece a colori, quasi come a voler indicare l’ironia e l’ingenuità di chi deve ancora crescere da chi invece quelle situazioni paradossali le vive realmente con amarezza.
In definitiva il lungometraggio è la variegata panoramica di un mondo a volte incomprensibile all’Occidente, ma che pone le sue radici in una cultura millenaria, fatta di tradizioni antiche ancora fondamentali al centro della vita di ognuno, dal più anziano al più giovane e che con difficoltà cerca di trovare la sua posizione nel mondo moderno.
La sensazione nel complesso è che la giovane regista abbia voluto dare un tono malinconico ma con un aria ottimistica nel descrivere la condizione della sua gente, considerato una delle più grandi potenze mondiali.
La frase: "Mao Non cercava di far colpo sull’Occidente".
Monica Cabras
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