Oggetti smarriti
Se fosse stato realizzato negli Stati Uniti, avrebbe con ogni probabilità rappresentato uno degli episodi della mitica serie televisiva "Ai confini della realtà".
Già, perché, a partire dal surreale personaggio che, incarnato dal comico Michelangelo Pulci, c’introduce alla visione, il lungometraggio di Giorgio Molteni – autore, tra l’altro, del thriller "Legami sporchi" (2004) – presenta sì toni da commedia, ma si costruisce su un soggetto – a firma di Giorgio Fabbri – tutt’altro che privo di elementi fantastici.
Del resto, ne è protagonista un Roberto Farnesi più convincente del solito che, padre separato dalla moglie Giorgia Wurth e interessato solo alle donne, alle macchine ed alla bella vita, una sera, in casa con la figlia di sei anni Ilaria Patané, perde prima un cacciavite, poi la stessa bambina, la quale scompare misteriosamente sotto i suoi occhi.
Un assurdo evento destinato a gettare l’uomo nella disperazione totale, man mano che si avverte non poco una certa tensione da thriller e che, dopo aver telefonato alla polizia e al grottesco ufficio oggetti smarriti, vede presentarsi alla propria porta la bella e disinvolta vicina di casa Chiara Gensini, di cui non si era mai accorto prima.
Un personaggio che appare immediatamente enigmatico e che, ovviamente, non tarda ad assumere un significato allegorico; come un po’ tutta la vicenda, volta da un lato a suggerire che i primi oggetti smarriti siamo noi, dall’altro a ribadire che tutto ciò che accade è sempre perfettamente spiegabile e che non c’è niente di irrazionale.
Una vicenda che, sebbene ambientata quasi del tutto in un unico interno, riesce in maniera miracolosa a sfuggire a una certa teatralità tipica di molte analoghe produzioni indipendenti, grazie a una regia capace di gestire a dovere sia il cast che le poche angolazioni di ripresa possibili nel ristretto spazio d’azione.
E, complice la efficace colonna sonora di Franco Eco, il coinvolgimento risulta tutt’altro che assente, nell’attesa di scoprire in che modo si concluderà l’oltre ora e venti di visione... al termine della quale, tra l’altro, non è difficile pensare che si possa trattare di una metafora su celluloide relativa alla necessità di ritorno al sentimento paterno, in una fredda epoca che tende continuamente a risucchiare le responsabilità (quindi, anche quelle di genitore) tramite l’assiduo bombardamento erotico (o pornografico?) del gossip in tutte le sue forme.
La frase:
"Non è l’oggetto a essere smarrito, ma voi stessi".
a cura di Francesco Lomuscio
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