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Nowhere
"Perché mi piace raccontare storie piene di ottimismo, perché vedo le storie che racconto e quindi sono certo che noi ottimisti siamo nel giusto e che l'ottimismo è possibile. Perché la vastità dei grandi spazi si spiega solo accanto alla fragilità dell'esistenza umana, perché la passione è necessaria come l'aria che si respira". Sono alcuni dei perché di Luis Sepulveda, scrittore cileno di romanzi di grande successo come "L'uomo che leggeva romanzi d'amore" o "La storia della gabbianella e del gatto", per spiegare cosa lo ha spinto a voler intraprendere una strada nuova, quella del cinema. Uno scrittore cresciuto nell'oscurità delle 6 sale cinematografiche del suo quartiere a Santiago, davanti alle storie del neorealismo italiano e ai musical americani, che costruisce i propri romanzi innanzitutto attraverso le immagini, e fa i primi passi nel mondo della settima arte come sceneggiatore. Un scelta inevitabile secondo lui quella della regia, ma il risultato purtroppo mostra tutta l'inesperienza del neofita e la ridondanza di chi è abituato ad un linguaggio diverso.
La sua opera prima infatti mostra tristemente una assoluta inconsistenza: il gruppo di dissidenti di un paese latino americano non precisato, arrestati e obbligati a restare in una vecchia stazione ferroviaria, Nessuna parte, dimenticata da tutti, sotto la sorveglianza di un gruppo di soldati altrettanto spaesati, non si distingue per i caratteri dei protagonisti o per il loro temperamento. Nello svolgimento della storia compaiono numerosi altri personaggi che restano spesso confusi e assolutamente inutili, digressioni poetiche che al cinema non hanno la stessa efficacia che in letteratura. Si sente forte la mancanza di contenuto insomma, di una sostanza che dia corpo all'architettura del racconto: davanti alla macchina da presa, che si muove così rigidamente da un personaggio che parla all'altro che risponde, non accade nulla. Satura di dialoghi prolissi e artefatti, assolutamente non cinematografici, la sceneggiatura resta troppo letteraria e pesante come un macigno. In realtà persino un romanzo così scritto risulterebbe retorico e convenzionale (leggi noioso e seccante). Nonostante tanta verbosità i personaggi, protagonisti, co-protagonisti o semplici comparse, restano sagome, fumetti bidimensionali privi di profondità e quindi di personalità. Si muovono goffi e inutili in quella landa deserta parlando per metafore, criptiche o inutili.
Valeria Chiari
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