Niente da dichiarare
Dany Boon ritorna alla regia, con successo. Dopo "Giù al nord", ecco un’altra commedia fresca dai sapori politici che fa ridere e aggiunge un pizzico di riflessione su temi quanto mai attuali: la reale unità dell’Europa unificata, il nazionalismo latente, il senso dei rancori ancestrali. Grandi tematiche troppo ingombranti per trovare spazio in una serata spensierata, e tanto serie da saper rispondere a quell’umorismo tipico delle commedie ben fatte, quello in cui si ride di questioni fin troppo drammatiche e grazie al quale si riesce a riflettere serenamente. "Niente da dichiarare" prova e riesce a fare questo, facendo ridere di gusto con le numerose gag dal sapore genuinamente francese (alla Francis Veber per intenderci) grazie anche ad una coppia di protagonisti che dominano la scena dal primo all’ultimo frame. Le figure di contorno non riescono a distaccarsi dalle quinte sullo sfondo, nonostante molti sketches siano costruiti proprio sul contrasto con loro: il collega Vanuxem, pigro e smidollato, il padre di Ruben, nazionalista fino all’ultimo capello, la coppia dei gestori del locale di frontiera, l’una l’opposto dell’altro. Tante spalle che hanno il sapore di comparse di fronte a Poelvoorde e Boon (maldestramente doppiato nella versione italiana), che si passano la battuta e la ribalta con leggerezza ed estrema facilità. Riesce il gioco delle parti, in cui l’uno compensa l’altro nelle sue mancanze, riesce la comicità dell’esagerazione (la macchina esageratamente truccata, Ruben esageratamente arrabbiato), riesce il senso del ridicolo per il vittimismo (il cane Grizzly affidato ai due disgraziati e fin troppo improvvisati agenti di frontiera). La loro esasperata diversità si converte in un equilibrio comico che convince e trascina. Il finale è romantico ma non disilluso: gli equilibri rotti nella trama si ricompongono non senza rancori (da parte di Vandevoorte naturalmente) e il lieto fine forse un po’ troppo rocambolesco viene perdonato dalle risate che lo precedono e lo seguono nell’epilogo: il tecnico asiatico ci strappa un’ultima cinica risata.
La frase:
- "Grazie!"
- "Non c’è di che. L’avresti fatto anche tu per me."
- "No, non credo!".
a cura di Matteo Brufatto
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