Nella casa
Chi non lo ama farà in tempo a redimersi; chi lo conosce poco potrà prendere la palla al balzo; chi lo sostiene dagli esordi annuirà compiaciuto, perché François Ozon si conferma uno dei più autorevoli registi della sua generazione. "Nella casa", ispirato alla pièce "Il ragazzo dell’ultimo banco" di Juan Mayorga, non è solo una prova rassicurante ma rimarca le ambizioni di un autore che ha delle idee e intende evolvere il suo linguaggio cinematografico.
L’ultimo lavoro del quarantacinquenne parigino parte osservando con distacco il rientro dalle vacanze estive - "passate a leggere Schopenhauer" - di un arcigno professore di letteratura del Lycee Flaubert e con una cartolina postmoderna dell’ambiente scolastico introdotta da una sigla che richiama quella di certe serie televisive.
Un avvio che lascia presagire un taglio di stile pedagogico ma non si ha nemmeno il tempo di chiedersi la ragione di un titolo che sarebbe fuorviante perché la sceneggiatura afferra per il braccio lo spettatore: Germain (Fabrice Luchini) legge a sua moglie Jeanne (una gallerista d’arte, interpretata da Kristin Scott Thomas) i temi "barbari" dei propri alunni, e i due scoprono la caustica penna di un sedicenne dal ghigno perfido di nome Claude (l’esordiente Ernst Umhauer, ventunenne durante le riprese) con la quale si introduce misteriosamente a casa del compagno medio-borghese Rapha.
Il desiderio vouyeristico di spiare le vite degli altri, unito all’intenzione di valorizzare il talento creativo del giovane costruendo – sulla proiezione di sé – il grande scrittore che lui non è stato, porta Germain ad appassionarsi alle doti di Claude, incoraggiando con consigli e immorali sotterfugi la produzione di altri racconti sullo stesso tema. Il rapporto professore-allievo diventa perverso e pian piano la distinzione tra la realtà della vita e la finzione da reality si fa sottile, fino a straniare uno spettatore inizialmente imboccato ma che ora deve fronteggiare le incursioni oniriche di Germain – come nell’episodio del bacio tra Claude ed Esther (Emmanuelle Seigner). Dal canto suo, Claude, vuole in qualche modo inserirsi nell’intimità di una famiglia che non possiede e allo stesso tempo manipolarla vendicandosi, per così dire schernendone la mediocrità dei suoi membri. Il "teorema", però, non è abbastanza freddo e finisce per farsi investire dalla narrazione che è lui stesso a condurre.
Ozon, con sarcasmo e intelligenza, coinvolge il pubblico in un gioco-riflessione surrealista sul significato di narrazione: non sappiamo se gli avvenimenti e i personaggi che vediamo sono fondati oppure se è il discorso filmico del regista a farceli immaginare. Un’affascinante lezione di cinema che non solo non risulta pedante ma è in grado di divertire raffinatamente, grazie anche a divagazioni scherzose sulla classe media, sull’arte contemporanea o sul classicismo esasperato di Germain (che non a caso finirà per contemplare una gigantesca installazione...). Qualche flessione ed ellissi di troppo lo rendono un film imperfetto ma caldamente consigliato come esempio di cinema attuale e originale, oltre che la prova di maturità definitiva di un acuto designer della settima arte, nella cui casa vorremmo introdurci a goderci lo spettacolo per molti anni ancora.
La frase:
"Un odore ha attirato la mia attenzione".
a cura di Nicola Di Francesco
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