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Munich
Si potrebbe pensare che non ci sarebbe stato miglior momento di questo per l'uscita di "Munich". Con Sharon in fin di vita e le olimpiadi invernali di Torino alle porte, ritornare a parlare dell'attacco terroristico che nel Settembre del 1972 portò alla morte di 11 atleti israeliani sequestrati nel villaggio olimpico della capitale bavarese, sembra un atto quasi doveroso (senza contare poi le recenti "voci" che vogliono tra i finanziatori della strage di allora, l'attuale premier palestinese Abu Mazen). Purtroppo però quel che per noi già comincia ad essere "Storia" (erano i tempi dell'omicidio Calabresi) in Medio Oriente è sempre Attualità, nessun cerchio si è chiuso e la spirale continua a girare su stessa. Cambiano i personaggi, le strategie, le persone che sperano, rimane la sofferenza e i morti.
Per rispondere al primo attentato della storia in diretta televisiva (900 milioni di persone in tutto il mondo seguirono la vicenda) Israele ufficialmente rispose il 9 Settembre gettando bombe con la sua Forza Aerea sulle basi dell'Olp in Siria e Libano, ma la vera "vendetta" si consumò grazie allo spionaggio. E' questa la storia che ci racconta Spielberg col suo "Munich", un thriller vecchia maniera che tanto richiama le atmosfere dei polizieschi anni 70, da "Il giorno dello sciacallo" a "Il braccio violento della legge". Seguendo le gesta di quello che fu un vero e proprio commando di sicari (composto da cinque uomini ognuno con la propria specializzazione), le oltre due ore e trenta di pellicola alternano intense scene d'azione ad altrettanto vibranti e tesi dialoghi. Merito della sceneggiatura del premio Pulitzer Eric Roth, ma anche e soprattutto di Spielberg, cui tanto si può contestare meno che il coraggio di affrontare storie e tematiche così complesse nella Hollywood di oggi. Non poteva che essere lui, ebreo di Cincinnati, a mettere in scena una vicenda così complessa riuscendo a non cadere nella retorica. Il regista di "Schindler's list" si tiene fuori da qualsiasi catalogazione del tipo "buoni/cattivi", sceglie il punto di vista israeliano, ma allontana gli spettatori dai suoi protagonisti (ne soffre, infatti, un poco il lato emozionale del film). E' vero che il film inizia con l'episodio di Monaco (e da lì ne segue le conseguenze), ma anche lì trova le sue conclusioni(con un intenso flashback del protagonista Avner). Se prima erano semplici assassini distillatori di terrore, a fine film ci appaiono quasi sullo stesso piano dei nostri protagonisti: esecutori di una missione che credono porterà al benessere della propria gente. Si può davvero vendicare la vendetta di una vendetta di una vendetta di una vendetta...?
Spielberg non suggerisce soluzioni, ma fotografa lo stato dei fatti: quel tipo di guerra non porta, e non porterà da nessuna parte, anzi aumenta la diffidenza, l'instabilità, la paura (Avner alla fine non riesce più a capire di chi potersi fidare). Profonda invece è la sua riflessione sul significato di "casa" e "patria" ("L'identità… è la parte più difficile"), tematiche già viste nei suoi due film forse meno riusciti: "Amistad" e "La guerra dei mondi", oltre che nello splendido "Et-l'extraterestre". Forse questo eterno lottare per un territorio, una nazione, non è così indispensabile, forse (e New York, la capitale della multietnicità, che fa da sfondo all'ultima emblematica scena ne suggerisce benissimo il messaggio) la casa è dove sono i nostri affetti, lì dove troviamo la tranquillità di vivere "con" la gente del mondo e non "contro".
Un titolo semplice, "Munich" per un film complicato, disorientante, capace di trasmettere un pizzico di quell'ansia che le vittime di questo ormai eterno conflitto vivono ogni giorno, dove il semplice esistere può diventare una buona causa per essere uccisi.
La curiosità: La scena in cui Avner e Louis camminano in un mercato di frutta e verdura parigino è stata girata sotto il famoso appartamento di "Ultimo tango a Parigi".
La frase: "Tu non sai cosa vuol dire avere una patria. Noi vogliamo essere nazione. La patria è tutto".
Andrea D'Addio
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