Monamour
A due anni di distanza dal lungometraggio ad episodi Fallo!, Tinto Brass torna dietro la macchina da presa con Monamour, perversa ma innegabilmente geniale unione tra il veneto mona ed il francese amour, liberamente tratto dal romanzo Amare Leon di Alina Rizzi ed interpretato dalla russa Anna Jimskaya, la quale declinò l'offerta per un piccolo ruolo in Senso '45 (2002).
Costruito su un soggettino tipicamente "brassiano" che, al di là di piccole variazioni di sceneggiatura, si ripete ormai da anni, Monamour racconta le torbide vicende della veneziana Marta, sposata con il milanese Dario, ma che finisce per essere sedotta dal francese Leon, con il quale, spinta verso l'adulterio dalla disinibita amica Silvia, arriva a condurre una vera e propria storia in parallelo a quella matrimoniale. Quindi, come ormai succede dai tempi de La chiave (1983), effettuiamo un viaggio nella segreta mente sessuale femminile, attraverso il diario della protagonista, scoperto e letto dal marito cornificato il quale, sempre preso dai suoi impegni di manager editoriale, comincia ad accorgersi delle scappatelle della compagna, finendo per desiderarla sempre di più.
Sulla falsariga di Così fan tutte (1992) e delle opere successive, allora, tra immancabili falli di lattice e la consueta sodomia, Brass, il quale tira nuovamente in ballo quel Max Parodi che, da Monella (1998) in poi, è praticamente un ospite fisso dei suoi set, torna a cercare di comunicarci che la gelosia è il più potente degli afrodisiaci e che il tradimento è indispensabile per aiutare il "noioso" rapporto matrimoniale a solidificarsi. Però, al di là del fatto che ci si trovi o no d'accordo con il suo pensiero, non possiamo certo negare che ogni volta che assistiamo ad un suo lavoro non si avverta dietro la macchina da presa la presenza di un maestro delle immagini in movimento. Basterebbe citare le sequenze oniriche, la riconoscibile venatura ironica e quell'erotismo generato grazie alla ragionata unione di tutto ciò che compone il quadro di ripresa, dall'attenzione nei confronti di sfondi e dettagli, alle analogie di forma e contenuto, all'uso della colonna sonora che accarezza sensualmente i fotogrammi, agli specchi, i quali, posizionati a mo' di quarto occhio, rendono visibile ciò che neppure la cinepresa, da una sola prospettiva, riesce ad immortalare.
Il tutto, in uno spettacolo che sa di già visto, ma mai noioso, il quale ci spinge ancora a pensare che solo il sesso salva le case editrici, insieme alla Bibbia, da sempre campione d'incassi, in un'umanità perennemente contesa, da secoli, tra sacro e profano.
La frase: "Le donne dagli uomini vogliono essere prese, non comprese".
Francesco Lomuscio
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