L'esplosivo piano di Bazil
Dopo le primissime immagini ambientate nel deserto del Marocco, con una mina che esplode uccidendo un uomo, passa qualche anno e, in anticipo rispetto ai titoli di testa, abbiamo un’avvincente sequenza in cui il giovane Bazil alias Dany Boon ("Giù al Nord"), figlio della vittima, finisce per ritrovarsi accidentalmente una pallottola in testa, mentre scorre in un televisore acceso il momento conclusivo de "Il grande sonno" (1946) di Howard Hawks.
Dimesso dall’ospedale e rimasto senza una casa, è lui il protagonista del sesto lungometraggio diretto dal francese Jean-Pierre Jeunet (candidato all’Oscar per "Il favoloso mondo di Amélie"), nel quale decide di vendicarsi nei confronti dei fabbricanti delle armi che hanno causato tutte le sue sofferenze affiancato da una bizzarra combriccola di feroci rigattieri che lo accolgono nella sorta di caverna di Alì Babà in cui vivono.
Rigattieri che, comprendenti, tra gli altri, una donna elastica con le fattezze di Julie Ferrier ("Mr Bean’s holyday") e il Buster interpretato da Dominique Pinon ("Delicatessen"), attore feticcio di Jeunet, si trovano ad avere a che fare sia con demenziali imprese che sembrano uscite dai cartoon di Tex Avery (si pensi al momento in cui un paio di loro vengono sparati con un cannone) che con truffaldini stratagemmi tanto cari anche alle nostre produzioni di genere, dai poliziotteschi ironici con Tomas Milian ai due "Febbre da cavallo".
Anche se, dovendo proprio fare un paragone con il cinema italiano, è soprattutto il grande Vittorio De Sica a tornare vagamente alla memoria nell’assistere a questa moderna favola anti-bellica che, ponendo l’ennesima gang di perdenti in lotta contro il solito gruppo di spietati giganti industriali, individua i suoi principali punti di riferimento nelle pellicole del muto e in quelle realizzate da Charlie Chaplin.
Pellicole il cui aspetto viene richiamato sia dalle performance dei bravi protagonisti che dall’uso della bella colonna sonora a firma dell’esordiente Raphaël Beau, mentre il regista, complice l’ottimo lavoro svolto dalla scenografa Aline Bonetto ("Una lunga domenica di passioni") e dal direttore della fotografia Tetsuo Nagata ("Splice"), immerge il tutto in affascinanti, colorate immagini che poco si distaccano dal già citato universo dei cartoon.
Fino alla coinvolgente (a suo modo geniale) parte conclusiva di 105 minuti di visione che, forse eccessivamente veloci nel raccontare l’intreccio che caratterizza la loro fase centrale, rimangono comunque divertenti e confezionati con notevole professionalità.

La frase: "Sapete, Rimbaud ha cominciato poeta per finire mercante d’armi".

Francesco Lomuscio

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